Lotta all’inquinamento atmosferico: il nuovo anno porterà un nuovo corso?

di Andrea Barbabella

Anche quest’anno, con l’arrivo dell’inverno, torna l’allarme inquinamento atmosferico nelle principali grandi città italiane, e non solo. La qualità dell’aria è oramai riconosciuta come una delle principali criticità ambientali della nostra epoca: secondo il report dell’Agenzia europea dell’ambiente (AEA), pubblicato a novembre, in Europa l’inquinamento atmosferico (solo quello outdoor) sarebbe responsabile di oltre mezzo milione di morti premature. L’Italia – con circa 85 mila decessi, oltre 20 volte il numero di vittime causate ogni anno da incidenti stradali – presenta una situazione particolarmente critica: circa 1.400 decessi per milione di abitanti, contro valori che oscillano tra 700 e 900 in Germania, Francia, Spagna e Regno Unito. Su questo dato pesa certamente l’hot spot costituito dal bacino padano, ma le condizioni restano difficili in molte città, da Nord a Sud dello stivale.

Vero è che negli anni la situazione sia progressivamente migliorata, come dimostrano le belle serie storiche riportate in un recentissimo rapporto pubblicato dall’Ispra, ma i progressi non sono ancora sufficienti. A dicembre, con l’adozione della nuova Direttiva National Emission Ceilings – NEC, sono stati approvati i nuovi tetti europei per le emissioni dei principali inquinanti atmosferici: NOX, SOX, NH3, COVNM e PM2,5. In particolare, per il particolato fine (PM2,5) e gli ossidi di azoto (NOX) la Direttiva prevede un taglio delle emissioni al 2030 rispetto ai valori del 2005 rispettivamente di 40% e 65%. Secondo le stime della Commissione, il raggiungimento di tali target consentirebbe di dimezzare gli impatti negativi sulla salute dei cittadini europei. Tuttavia, una quota rilevante della popolazione continuerebbe a essere esposta a livelli di concentrazione degli inquinanti ben oltre i target indicati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.

L’Italia ha conseguito i target 2010 fissati dalla precedente Direttiva NEC del 2001 e i trend in relazione ai nuovi obiettivi al 2030 sono incoraggianti. Unica eccezione il particolato fine, responsabile del 70% dei decessi prematuri stimati in Italia dall’AEA, che, complice anche una recente revisione delle statistiche ufficiali a seguito della indagine Istat sui consumi energetici delle famiglie del 2014, negli ultimi 8-10 anni ha mostrato un andamento delle emissioni non in linea con il taglio previsto al 2030. Ma il problema sembra essere piuttosto la “difficile” relazione tra emissioni e concentrazioni, essendo queste ultime quelle che poi ci interessano maggiormente in quanto direttamente legate agli effetti sanitari: per certi versi si potrebbe dire che le emissioni non (sempre) fanno le concentrazioni! Se è vero che tra il 1990 e il 2014 il taglio alle emissioni inquinanti è stato significativo, come dimostrano il -90% degli SOX, il -60% di NOX o il -35% di PM10, i miglioramenti registrati in termini di riduzione delle concentrazioni degli stessi non sono sempre stati proporzionali.

Il fenomeno dell’inquinamento atmosferico è molto complesso. Gli inquinanti sono molteplici – e quelli critici cambiano nel tempo – e, a loro volta, i settori sorgente incidono su di essi in maniera molto differenziata (ad esempio grande il peso dei trasporti sull’NOX, mentre sul particolato emerge quello del riscaldamento domestico e, indirettamente, dell’agricoltura). A questo si aggiunge il peso crescente del c.d. inquinamento secondario, che indebolisce fortemente il nesso tra emissioni e concentrazioni di un determinato inquinante, o le dinamiche legate al trasporto su lunga distanza così come a fenomeni a piccola o piccolissima scala. Ovviamente, il controllo delle emissioni, e la buona abitudine di fissare target di riduzione, è cosa sacrosanta. Tuttavia, affrontare il tema dell’inquinamento atmosferico e dei rischi connessi per la salute umana richiede un approccio più ampio, partendo da una valutazione più approfondita dei fattori che determinano le concentrazioni, non solo attraverso modelli ma anche attraverso nuove analisi specifiche. Da questo punto di vista, peraltro, non sembra essere un buon segnale l’arresto del processo di aggiornamento dei target europei sulla qualità dell’aria.

Per capire meglio un tema tanto importante quanto complesso nella sua dinamica e nelle soluzioni connesse, la Fondazione, in collaborazione con l’ENEA, ha promosso uno studio i cui risultati saranno presentati nella prima parte del nuovo anno. Tra gli aspetti indagati, anche la relazione tra le dinamiche ecologiche e le politiche e misure relative al clima, da un lato, e alla qualità dell’aria, dall’altro. I due fenomeni, uno tipicamente di scala locale e l’altro invece tradizionalmente locale (ma come sappiamo fino a un certo punto), sono in realtà connessi da un punto di vista sistemico, tecnologico e di policy. Negli ultimi anni in molti hanno indicato tra le cause dell’inquinamento atmosferico politiche climatiche con effetti collaterali non sempre noti. Ad esempio, l’incentivazione dei veicoli alimentati a gasolio che, a fronte di una limitata riduzione delle emissioni di CO2 presentano emissioni inquinanti, particolato e ossidi di azoto per cominciare, molto alte; oppure la diffusione delle biomasse per il riscaldamento, oggi da più parti additate tra le principali cause della cattiva qualità dell’aria nelle città.

Questi trade-off vanno correttamente valutati per poter definire politiche e misure coerenti ed efficaci. Come anche altre dinamiche possibili, spesso a correlazione positiva. Ad esempio il fatto che il mutamento climatico in corso, in un contesto come quello italiano, potrebbe creare condizioni sfavorevoli in termini di qualità dell’aria, specie in un contesto sempre più dominato da fenomeni di inquinamento c.d. secondario. Questo potrebbe già essere successo, ad esempio nell’inverno 2015, quando si crearono condizioni meteorologiche particolarmente sfavorevoli che nel futuro potrebbero essere sempre più diffuse proprio a causa degli impatti del riscaldamento globale. Ma potrebbe anche accadere che  le politiche settoriali si autorafforzino a vicenda. È quanto sta accadendo oggi in Cina, dove un grave problema d inquinamento atmosferico, oramai non più solo sanitario ma di ordine pubblico, sta spingendo politiche climatiche positive, con minore ricorso al carbone, sviluppo delle fonti rinnovabili, diffusione di auto ibride ed elettriche etc.

Le politiche di contrasto all’inquinamento atmosferico messe in campo negli ultimi anni non hanno funzionato come avremmo sperato. Su questo hanno inciso numerosi fattori, in parte anche politiche per il clima poco coordinate, ma anche fenomeni più di confine, come lo scandalo del dieselgate, che, attraverso un sistema di falsificazione dei dati, ha reso di fatto inefficaci gli esercizi di pianificazione degli ultimi anni. Per affrontare e vincere la sfida della qualità dell’aria, dovremo mettere in campo soluzioni diverse da quelle sperimentate fino a oggi, che riguardino non solo le tecnologie, ma anche la governance di un fenomeno complesso e le modalità con cui, ad esempio, si vive e ci si muove nelle nostre città.

Mi auguro che il 2017 sia l’anno in cui nel nostro Paese si possa cominciare a delineare un nuovo corso per le  politiche sulla qualità dell’aria (e non solo!).

 

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