Luci e ombre del Documento di Programmazione Economico-Finanziaria

Il Documento Economico e Finanziario presentato dal Governo ha avuto il via libera dal Parlamento, con l’approvazione delle risoluzioni di maggioranza. Quali valutazioni si possono dare per quanto riguarda gli impegni e le politiche per lo sviluppo sostenibile? Si va nella direzione giusta o no? Nel DEF ci sono luci e ombre. Novità importanti e perduranti sottovalutazioni. Obiettivi giusti ma anche dubbi sulle reali disponibilità finanziarie.

In un quadro macroeconomico che vede l’Italia incamminata sulla strada della ripresa, sia pure più lentamente rispetto agli altri principali paesi europei, l’obiettivo dichiarato del governo è di “innalzare stabilmente la crescita e l’occupazione, nel rispetto della sostenibilità delle finanze pubbliche”. Il PIL è dato in crescita dell’1,1% nel 2017, ma tornerà all’1% nei due anni successivi, mentre si prevede che il deficit dovrebbe calare dal 2,1%  di quest’anno a zero nel 2020. Nello stesso arco di tempo anche il debito pubblico dovrebbe calare dal 132,5% al 125,7%.

Una novità positiva è l’introduzione nel DEF, seppur ancora in via sperimentale, degli indicatori di Benessere equo e sostenibile. L’Italia è il primo paese in Europa e tra i paesi del G7 ad affiancare al PIL anche indicatori di sostenibilità sociale e ambientale. Per il momento sono solo quattro (reddito medio, disuguaglianze, mancata partecipazione al mercato del lavoro, emissioni climalteranti) ma già dal prossimo anno il gruppo di indicatori dovrebbe essere più ricco e completo.

Tra gli strumenti di azione strategici il DEF include la Strategia nazionale per lo sviluppo sostenibile 2017-2030, per dare attuazione alla Agenda 2030 adottata dalle Nazioni Unite. Nel corso del 2017 sarà definita la nuova Strategia Energetica Nazionale (SEN), insieme a un “Decreto Energia” che dovrebbe normare alcune questioni rilevanti: l’attuazione della riforma degli oneri di sistema elettrico, che decorrerà dal 1 gennaio 2018; il corridoio di liquidità per il mercato del gas; i nuovi criteri di sostegno alle energie rinnovabili in coerenza con le linee guida UE. C’è da augurarsi che la nuova SEN assicuri la realizzazione degli impegni ambiziosi di riduzione delle emissioni climalteranti e di sviluppo delle fonti rinnovabili e dell’efficienza energetica dell’Accordo di Parigi, con interventi razionali sui costi effettivi, che internalizzino quindi con meccanismi di carbon pricing anche quelli climatici. In questo quadro sarebbe necessario – come suggerito da pareri delle commissioni parlamentari – rilanciare una crescita più sostenuta delle rinnovabili, anche con meccanismi che favoriscano l’autoproduzione, e rafforzare la normativa sugli “ecobonus” per l’efficienza energetica del patrimonio edilizio, a cominciare dalla possibilità di cedere a istituti finanziari il credito di imposta.

Nel Piano nazionale di riforme viene confermato il Piano nazionale contro il dissesto idrogeologico varato nel 2015: per la sua attuazione sono stati varati a marzo 2017 due miliardi che finanzieranno 500 progetti, di cui l’80% nel Sud. Tra le misure adottate vi è anche il Programma straordinario di intervento per la riqualificazione urbana, che andrebbe meglio qualificato con criteri di green economy. Si prevede inoltre l’attivazione di misure di prevenzione antisismica attraverso il piano “Casa Italia”, con l’applicazione sempre più estesa delle detrazioni fiscali per gli interventi di messa in sicurezza del patrimonio edilizio e abitativo: è un progetto di grande valore strategico, per la cui realizzazione sarebbe opportuno introdurre anche meccanismi che agevolino l’accesso al credito di imposta per gli incapienti e per le imprese, nonché estendere le agevolazioni fiscali alla certificazione statica degli edifici.

Con il documento allegato “Connettere l’Italia: fabbisogni e progetti infrastrutturali”, che individua i fabbisogni infrastrutturali al 2030, il Governo vuole aprire una nuova stagione delle politiche per la mobilità, partendo dalla consapevolezza dello “spread della mobilità non sostenibile” italiana. Mettendo a confronto la dotazione infrastrutturale relativa a metropolitane, tranvie e sistemi ferroviari delle città italiane con quella delle città europee, emerge l’enorme gap infrastrutturale per il trasporto pubblico che affligge il nostro paese. Dopo molti anni in cui è prevalsa l’attenzione alle infrastrutture dedicate ai traffici di media e lunga percorrenza, si dedica finalmente la giusta attenzione alla mobilità urbana. Le risorse impegnate appaiono insufficienti rispetto agli obiettivi da raggiungere, anche se la strada imboccata sembrerebbe quella giusta.

Da segnalare che nel cronoprogramma di riforme si prevede entro il 2017, tra le altre cose, la approvazione definitiva della legge di riforma dei parchi e delle aree protette, attualmente all’esame della Camera – con l’auspicio che si giunga a un accordo recependo alcuni rilievi critici sulla governance avanzati dalle principali associazioni ambientaliste – e l’istituzione della Autorità di regolazione per la gestione dei rifiuti.

Tra le critiche che si possono rivolgere al DEF, tre vanno particolarmente evidenziate.

La prima riguarda le politiche per il clima. Per quanto l’obiettivo dichiarato sia quello del disaccoppiamento tra crescita del PIL e emissioni di CO2, i dati contenuti nell’apposito allegato al DEF evidenziano che si è passati dalle 7 tonnellate/equivalenti di CO2 pro capite del 2010 a 7,4 nel 2016. E si prevede, nonostante gli impegni sottoscritti negli accordi internazionali, che saliranno a 7,5 t. pro capite nel 2020: anche se fossero ancora in linea con il precedente obiettivo al 2020, non è accettabile che si parta verso una traiettoria più impegnativa al 2030, in attuazione dell’accordo di Parigi, e poi si aumentino le emissioni al 2020 (anche nel caso che dopo il 2020 si riducessero di più, quelle emesse intanto resterebbero in atmosfera per molti anni).

Per quanto riguarda le politiche fiscali – che se utilizzate con intelligenza potrebbero costituire una  leva per accelerare una modernizzazione ecologica dell’economia – non viene presa in considerazione la necessità di una politica di riallocazione, seppur graduale, dei sussidi ambientalmente dannosi, stimati dal recente Catalogo del Ministero dell’Ambiente in oltre 16 miliardi di euro.

Non si può fare a meno di annotare, infine, che nelle azioni previste per favorire l’innovazione e la competitività delle imprese non si rivolge la necessaria attenzione al tema dell’economia circolare – che pure dovrebbe essere considerato centrale in quella che il DEF definisce “la quarta rivoluzione industriale basata su tecnologia innovativa e sostenibile” – e non si intravede una strategia forte e coerente per lo sviluppo di una green economy.

Il DEF, come dimostrano anche le esperienze passate, è in ogni caso solo un documento indicativo, non di rado poi contraddetto nella legge di stabilità. Quello di quest’anno pare particolarmente generico.

Ministero dell’economia e delle finanze | DEF 2017 | link| 
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