La rendicontazione non finanziaria: dal 2017 l’obbligo per le imprese di grandi dimensioni di comunicare le proprie performance ambientali e sociali

Secondo il 12° Global Risks Report 2017 del World Economic Forum, nel 2017 quattro delle cinque principali minacce globali sono ambientali e collegate al cambiamento climatico. Esse sono il fallimento delle misure di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici, crisi idriche, eventi meteorologici estremi e disastri naturali.

 In una tale prospettiva appare ormai chiaro come i fattori ambientali diventino sempre più rilevanti per le imprese e, in generale, per il mondo economico e finanziario. Essi non possono più riguardare solo “buone azioni” da comunicare ma dovrebbero diventare parametri permanenti nella definizione delle strategie di impresa e dei piani industriali. Solo in questo modo, infatti, le imprese possono proteggersi dai rischi ambientali e climatici che provocheranno impatti di grande portata nei prossimi decenni se non si farà ogni sforzo per imboccare la strada di uno sviluppo sostenibile.

In questa direzione, il ruolo dello Stato è centrale nel disegno di politiche pubbliche che introducano strumenti più sofisticati di misurazione delle componenti della ricchezza di un Paese, attraverso una più capillare raccolta dei dati e lo sviluppo di migliori modelli di analisi, finalizzati a sviluppare piani di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici che tutelino e coinvolgano il sistema produttivo. Variabili come il capitale naturale e quello sociale sono parametri irrinunciabili per una completa analisi dei rischi, degli impatti e delle prospettive future del proprio business. L’emanazione di provvedimenti che siano diretti a far emergere tali dati e stimolino le imprese a integrare i fattori ambientali e sociali nelle proprie attività sono, pertanto, essenziali. Sempre che essi non si riducano solo ad un ulteriore adempimento e diventino, invece, motore di nuovo sviluppo di migliore qualità ecologica.

È del 25 gennaio 2017 l’entrata in vigore del decreto legislativo del 30 dicembre 2016, n. 254 di Attuazione della direttiva 2014/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 ottobre 2014, recante modifica alla direttiva 2013/34/UE per quanto riguarda la comunicazione di informazioni di carattere non finanziario e di informazioni sulla diversità da parte di talune imprese e di taluni gruppi di grandi dimensioni.

Il provvedimento prevede l’obbligo di presentare una dichiarazione individuale di carattere non finanziario per le imprese di interesse pubblico che abbiano avuto, in media, durante l’esercizio finanziario un numero di dipendenti superiore a 500 e, alla data di chiusura del bilancio, abbiano superato almeno uno dei due seguenti limiti dimensionali: a) totale dello stato patrimoniale: 20.000.000 di euro; b) totale dei ricavi netti delle vendite e delle prestazioni: 40.000.000 di euro.

Il Decreto prevede, inoltre, che anche tutte le altre imprese non sottoposte all’obbligo possano presentare una dichiarazione di carattere non finanziario in forma volontaria sugli ambiti indicati nell’art.3 del Decreto, prevedendo per le PMI forme semplificate. Infatti, le dichiarazioni delle imprese con meno di 250 dipendenti, a differenze delle altre, possono essere considerate in conformità con la normativa senza soggiacere alle disposizioni sui controlli.

In relazione ai contenuti che le imprese sono chiamate a comunicare, il Decreto recepisce completamente la Direttiva 2014/95/UE che prevede che la dichiarazione non finanziaria debba riguardare i temi ambientali, sociali, attinenti al personale, al rispetto dei diritti umani, alla lotta contro la corruzione attiva e passiva, che sono ritenuti rilevanti tenuto conto delle attività e delle caratteristiche dell’impresa.

La dichiarazione di carattere non finanziario può essere presentata in due forme diverse: contenuta nella relazione sulla gestione attraverso una specifica sezione oppure costituire una relazione distinta contrassegnata dal riferimento al D.lgs 254/2016.

La relazione deve fornire tutte le informazioni necessarie, inoltre, a comprendere il modello aziendale di gestione e organizzazione delle attività dell’impresa anche con riferimento alla gestione dei temi sopra citati; le politiche praticate dall’impresa, comprese quelle di due diligence, i risultati conseguiti grazie ad esse ed i relativi Key performance indicator di carattere non finanziario; i principali rischi, generati o subiti, connessi ai suddetti temi e che derivano dalle attività dell’impresa, dai suoi prodotti, servizi o rapporti commerciali, incluse, le catene di fornitura e subappalto laddove vengano considerate rilevanti ai fini della dichiarazione. L’attenzione alle catene di fornitura è un elemento interessante del decreto in quanto essa allarga, seppur indirettamente, l’assessment all’intero indotto e, attraverso le azioni dell’impresa di grandi dimensioni, può avere l’effetto di sollecitare le imprese fornitrici, che spesso sono PMI, ad adottare standard ambientali e sociali più elevati.

Il Decreto riporta l’elenco degli ambiti minimi sui quali è richiesto di rendicontare le proprie attività e performance, lasciando la libertà alle singole imprese o gruppi di imprese di scegliere lo standard di rendicontazione che preferiscono, di individuare i key performance indicators che meglio descrivono le attività dell’impresa in relazione ai temi considerati, di adottare le metodologie di calcolo ritenute più adatte. Tuttavia la dichiarazione, a prescindere dagli standard adottati, deve contenere almeno le seguenti informazioni (lasciando quindi alle imprese la libertà anche di allargare il perimetro di rendicontazione):

  1. l’utilizzo di risorse energetiche, distinguendo fra quelle prodotte da fonti rinnovabili e non rinnovabili, e l’impiego di risorse idriche;
  2. le emissioni di gas ad effetto serra e le emissioni inquinanti in atmosfera;
  3. l’impatto, ove possibile sulla base di ipotesi o scenari realistici anche a medio termine, sull’ambiente nonché sulla salute e la sicurezza, associato ai fattori di rischio o ad altri rilevanti fattori di rischio ambientale e sanitario;
  4. aspetti sociali e attinenti alla gestione del personale, incluse le azioni poste in essere per garantire la parità di genere, le misure volte ad attuare le convenzioni di organizzazioni internazionali e sovranazionali in materia, e le modalità con cui è realizzato il dialogo con le parti sociali;
  5. rispetto dei diritti umani, le misure adottate per prevenirne le violazioni, nonché le azioni poste in essere per impedire atteggiamenti ed azioni comunque discriminatori;
  6. lotta contro la corruzione sia attiva sia passiva, con indicazione degli strumenti a tal fine adottati.

In sede di recepimento della Direttiva europea poteva essere auspicabile che il legislatore fornisse indicazioni più dettagliate sul perimetro, sugli indicatori e sulle metodologie di calcolo da impiegare per descrivere le attività, i risultati raggiunti, gli obiettivi in modo da assicurare una raccolta di dati omogenei e comparabili. Questo non nella prospettiva di un controllo fine a se stesso ma con l’obiettivo di migliorare la quantità e qualità dei dati delle componenti non finanziarie, e diventare uno strumento strategico per sviluppare politiche economiche a favore di uno sviluppo sostenibile e con migliori caratteristiche di resilienza agli shock ambientali e climatici. Molte sono, infatti, già oggi le imprese di grandi dimensioni che redigono report di sostenibilità rendicontando su dimensioni anche più vaste di quelle previste dal decreto. Questo perché, per le imprese, la propria performance ambientale e sociale rappresenta ormai un elemento qualificante e di competitività del proprio business ed essenziale verso i consumatori, sempre più attenti alla salvaguardia dell’ambiente e la tutela dei diritti.

Va positivamente accolta, nelle previsioni del Decreto, l’attenzione all’analisi della propria esposizione ai rischi ambientali oltre che all’analisi degli impatti prodotti che potrebbe favorire lo sviluppo nelle imprese della consapevolezza che il cambiamento climatico, la scarsità di risorse naturali, l’inquinamento, la perdita di biodiversità sono tutti fattori ad alto rischio che impatteranno sulla loro solidità nel prossimo futuro. Per far fronte a tali rischi le imprese devono prepararsi e sviluppare adeguate strategie che consentano loro di contribuire a mitigare e, al contempo, di adattarsi agli impatti derivanti dal mutamento di tali fattori.

Il Decreto, tuttavia, prevede anche la possibilità – in determinate condizioni – di poter omettere delle informazioni nel caso in cui la loro pubblicazione potrebbe compromettere la posizione commerciale dell’impresa. L’omissione non è comunque consentita nel caso in cui pregiudichi una comprensione corretta ed equilibrata dell’andamento dell’impresa, dei suoi risultati, della sua situazione e degli impatti prodotti negli ambiti considerati.

L’impresa inoltre può non rendicontare su alcuni aspetti qualora non abbia svolto e non svolga attività su quegli ambiti presentando una spiegazione chiara e dettagliata del perché. Poteva essere utile, in questo senso, inserire anche un obiettivo di adeguamento, in un determinato lasso di tempo, per consentire all’impresa di mettere in campo attività nell’ambito scoperto e analizzarne i risultati.

Il Decreto, infine, non prevede meccanismi obbligatori di certificazione da parte terza delle dichiarazioni rese dalle imprese ma prevede la verifica da parte di chi si occupa della revisione legale del bilancio dell’avvenuta predisposizione da parte degli amministratori della dichiarazione di carattere non finanziario. Lo stesso soggetto, o altro soggetto abilitato allo svolgimento della revisione legale deve predisporre una relazione distinta con attestazione di conformità delle informazioni fornite rispetto a quanto richiesto dal decreto legislativo. In caso di dichiarazioni non conformi o che riportino informazioni non veritiere sono istituite dal Decreto anche sanzioni pecuniarie.

L’elaborazione del Dlgs 254/2016 ha, inoltre, visto svolgersi due consultazioni pubbliche. La prima a giugno 2016 sulla base di una serie di questioni individuate dal Ministero dell’Economia e delle Finanze – preliminari alla stesura dello schema di decreto – per conoscere gli orientamenti degli stakeholder; la seconda a settembre 2016 sul testo dello schema di Decreto. Anche gli Stati Generali della Green Economy hanno partecipato alla consultazione attraverso l’istituzione di un Gruppo di lavoro ad hoc grazie al quale si è potuto discutere e confrontarsi con le imprese, le organizzazioni di imprese e singoli esperti della materia allo scopo di sviluppare una proposta che è stata poi presentata e discussa con il Ministero dell’Economia e delle Finanze.

Il provvedimento è sicuramente un passo avanti positivo per spingere il sistema produttivo e imprenditoriale verso una migliore qualità ambientale e sociale. Esso presenta ancora molti margini di approfondimento dell’impegno chiesto alle imprese di rendicontare, e quindi – cosa più importante – di mettere in campo, concretamente, iniziative di green economy. Esso avrà raggiunto, infatti, dei risultati, solo se non verrà interpretato come un ulteriore “laccio” da parte delle imprese ma diventi uno stimolo a fare di più per migliorare le proprie performance ambientali e per rafforzare il ruolo dell’impresa nella società.

Ci auspichiamo che dopo una prima fase di “rodaggio” esso possa essere aggiornato e rafforzato alla luce dei risultati ottenuti. Per raggiungere gli ambiziosi obiettivi e impegni assunti con l’Accordo di Parigi sarà necessario infatti uno sforzo complessivo del sistema economico e finanziario di cui le imprese sono un soggetto decisivo.

Link, documenti:
DECRETO LEGISLATIVO 30 dicembre 2016, n. 254 -Attuazione della direttiva 2014/95/UE
 | Gazzetta Ufficiale – Permalink |
Stati Generali della Green Economy 2016 | “Il reporting non finanziario delle imprese”: le proposte del Gruppo di Lavoro – Documento di partecipazione alla consultazione
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