Trasporti: perché favorire il petrolio?

di Raimondo Orsini

In questi ultimi giorni stiamo assistendo sui media e fra gli addetti ai lavori ad un dibattito incentrato prevalentemente sul ruolo che dovrà avere il gas naturale ed il suo cugino “green”, il biometano e sulla presunta contrapposizione fra le future politiche di incentivazione di questi combustibili rispetto a quelle di incentivazione verso i veicoli elettrici, con posizioni spesso contrapposte fra i sostenitori di una soluzione o dell’altra.

Visto che la nostra Fondazione si è occupata di questi temi con assiduità ed ha pubblicato numerosi studi e ricerche (da ultima quella sulla qualità dell’aria….), proviamo anche noi a dare qualche contributo, speriamo utile.

Innanzitutto la cosa che mi sorprende sempre è che pochissimi, quando si occupano di trasporti e ambiente, parlino del problema principale: il numero esorbitante di veicoli privati (quasi 700 ogni 1000 abitanti, incluso bambini e anziani…) che ci rende il paese europeo con il tasso di motorizzazione privata più alto e che vede le nostre città con le performance più basse di utilizzo del trasporto pubblico e della ciclopedonalità. I nostri sindaci sono costretti ogni anno a bloccare il traffico con ordinanze urgenti per ridurre i danni sanitari derivanti dalla pessima qualità dell’aria (90.000 decessi l’anno) e ad oggi non si vede l’ombra di una seria politica che incentivi veramente la mobilità sostenibile urbana, favorendo l’avoid (riduzione della domanda privata) e lo shift (diversione modale). È una limitazione culturale e politica che va superata al più presto: se non puntiamo alla riduzione del numero di veicoli privati e delle percorrenze di questi veicoli, spostando domanda di mobilità su forme sostenibili (trasporto pubblico, sharing, bici, etc.) e non ripensiamo le nostre città rendendole più vivibili e green, parlare di trasporti e ambiente è tempo perso.

Quando ci occupiamo invece di “improve”, cioè di carburanti e motorizzazioni dovremmo partire dalla fotografia dello stato attuale, e disegnare una traiettoria più rapida possibile per una transizione green. La fotografia energetica dei trasporti è questa: in Italia (dati 2016) i trasporti sono alimentati per il 92% dal petrolio (diesel, benzina e combustibili per aerei e navi), per meno del 5% dal gas e solo per il restante 3% da fonti rinnovabili (per metà elettricità rinnovabile per treni, metro e tram e l’altra metà quota di biocombustibili). Il risultato negativo di questo “mix”, tutto incentrato sul petrolio, sono le altissime emissioni di gas ad effetto serra e quelle, altrettanto preoccupanti, degli inquinanti atmosferici locali.

È necessaria quindi una rivoluzione che ribalti completamente questi numeri, portando le fonti rinnovabili dal 3% di oggi al 100% nel 2050: si tratta di tempi veramente rapidissimi per un cambiamento di questa portata.

Per realizzare questo obiettivo ambizioso ma necessario dobbiamo favorire rapidamente e spingere al massimo possibile l’elettrificazione (perché è la principale alleata delle fonti rinnovabili e delle basse emissioni): i veicoli privati elettrici immatricolati ogni anno sono oggi solo lo 0,5% sul totale del venduto. Dobbiamo arrivare nei prossimi 10 anni almeno al 50%, fra elettrico puro e ibrido plug-in. Bisogna i partire in quarta anche con gli scooter elettrici (missione più facile per la maggiore facilità logistica e la più favorevole autonomia delle batterie), e con i bus e i van elettrici.

In questa transizione, che vede anche l’ibrido come protagonista, almeno nella prima fase, i combustibili gassosi (auto a metano e GPL) possono ancora fungere da tecnologia “ponte” residuale, soprattutto grazie alle minori emissioni atmosferiche locali (in Francia le auto a gas sono “etichettate” nella fascia green insieme alle ibride), destinata poi a scomparire progressivamente via via che si procederà all’elettrificazione.

Per quanto riguarda invece gli aerei, i camion e le navi (settori in cui non è ancora possibile prevedere una forte penetrazione sul mercato di modelli elettrici nei prossimi 10-15 anni anni) il ruolo del GNL, soprattutto se affiancato al biometano, secondo noi può essere determinante, in mancanza di alternativa. Vista anche la disponibilità della produzione di biometano in Italia, si favorirebbe anche una gestione circolare degli scarti agricoli ed urbani e si alimenterebbe una filiera di “green economy” italiana, promettente anche in termini di occupazione e posti di lavoro. Discorso molto simile si può fare per i biocombustibili (biodiesel e bioetanolo), se prodotti localmente e non in competizione col cibo (neanche indiretta), e cioè il contrario di quelli usati oggi (prevalentemente olio di palma proveniente dall’Asia).

Oggi chi osteggia il gas naturale ed il biometano, anche nella transizione ecologica dei trasporti a medio termine, propone come alternativa………….quella di rimanere al diesel (che sarebbe addirittura “più pulito”). Mi chiedo quale sia il fine di chi vuole promuovere con tanto favore la permanenza del petrolio nel settore dei trasporti.
Dando il debito peso anche all’inquinamento locale e facendo crescere rapidamente tutte le fonti rinnovabili (elettriche e non)….. , oggi dovremmo far scendere drasticamente il 92% del petrolio, non il 4% del gas.
O sbaglio?

 

 

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