Gli esiti della Conferenza di Cancun

di Toni Federico
Si trattava com'è noto della COP16 - MOP6 della Convenzione dell'ONU sui cambiamenti climatici, UNFCCC, ad  un anno di distanza dalla deludente e frustrante COP15 di Copenhagen.


Un ulteriore passo falso era, nell’opinione di molti, un rischio assai grave per la sopravvivenza stessa dell’approccio multilaterale alla lotta contro i cambiamenti climatici. Noi stessi eravamo tra gli scettici sulla possibilità di rimettere la trattativa in carreggiata a Cancun. Ebbene, gli accordi di Cancun, sostenuti da 194 paesi con l’opposizione della sola Bolivia, cui la signora Figueres, segretaria esecutiva della Convenzione non ha consentito di trasformare un’opposizione in un veto, è un passo avanti con pro e contro, ma è una boccata d’ossigeno per la Convenzione. A Copenhaghen  un piccolo gruppo di governanti delle cosiddette economie maggiori preparò il testo oggi noto come Accordo di Copenhagen, senza riuscire a farlo approvare in assemblea, nemmeno dopo l’endorsment del Presidente Obama. L’Assemblea si limitò a “prendere nota” di un testo che in fin dei conti non conteneva che il minimo delle prospettive avanzate nelle raccomandazioni della Roadmap di Bali, in sostanza un ipotesi non finalizzata di contenimento della temperatura media terrestre entro 2° di aumento.

Merito va dato alla conduzione capace e aperta portata avanti dai funzionari del governo messicano, per aver guidato la Conferenza in modo da ricostruire una volontà generale di arrivare a dei risultati, verso un compromesso equilibrato. I processi della Roadmap di Bali sono due e riguardano la Convenzione (LCA) e il Protocollo di Kyoto (KP), il primo con il compito di definire gli obiettivi a lungo termine, il secondo con in mano le sorti del Protocollo dopo la scadenza del periodo di verifica 2008-2012. A Copenhagen non era riuscito alla presidenza Danese di tenere al passo le due linee di negoziato, a Cancun la gestione è stata molto più fortunata.

 

L’accordo di Cancun dà luogo ad un processo di razionalizzazione degli impegni soggettivamente assunti dai vari paesi in fatto di riduzione delle emissioni e predispone un percorso tecnico per la verifica delle proposte. Viene stabilito il registro dei programmi di mitigazione dei paesi in via di sviluppo (NAMA)  e vengono adeguate le procedure di misura, verifica e reporting (MRV) e dei relativi controlli internazionali (ICA). Viene creato il Green Climate Fund come contributo all’obiettivo di trasferire 100 miliardi di US$ ogni anno fino al 2020 ai paesi poveri a maggior rischio climatico, definendo lo sforzo finanziario a breve e quello a lungo termine sotto il controllo di un Comitato permanente della COP che ha il compito di assistere i vari paesi. Un accordo importante e lungamente atteso riguarda la forestazione (REDD+) per la quale vengono fissati gli incentivi e le modalità di conteggio delle quote di assorbimento della CO2. Si ricordi che la deforestazione è responsabile di 1/5 delle emissioni globali su base annua. Viene concordato un nuovo meccanismo per il trasferimento di tecnologia e viene stabilito un organo esecutivo tecnico di supporto.

Viene inoltre concordato un quadro d’azione per le attività di adattamento al cambiamento climatico con una forte componente di solidarietà internazionale. Il CCS, cattura e sequestro del carbonio, viene inserito nella lista delle tecnologie finanziabili dei progetti CDM, Clean Development, Mechanism, che consentono ai paesi in via di sviluppo ed ai paesi sviluppati di ottenere crediti di carbonio in partnership.
Il mandato del gruppo di lavoro AWG-LCA (Cooperazione a lungo termine) viene esteso di un anno con l’impegno di sviluppare pienamente i contenuti del lungo percorso negoziale in una proposta per la COP17 di Durban, l’anno prossimo, ma, ovviamente, la forma giuridica di un possibile accordo a lungo termine resta da definire, se si tratterà cioè di un nuovo Protocollo o di una delibera della COP per un tipo diverso di procedura. Viene riconfermato l’obiettivo di contenimento della temperatura media entro due gradi Celsius e viene concordato che il picco delle emissioni deve essere raggiunto al più presto. Viene riconosciuto nel documento concordato che, sulla base delle conoscenze scientifiche accumulate in questi anni, la riduzione delle emissioni per ottenere questo obiettivo dovrebbe essere compresa tra il 25 ed il 40% entro il 2020 e che l’importo globale degli impegni annunciati dai vari paesi è largamente insufficiente.

Nel quadro invece del gruppo di lavoro AWG-KP, cui, ricordiamo, non partecipano gli Stati Uniti, la sorte del Protocollo di Kyoto non si è ancora riusciti a definirla. Come si sa le economie emergenti (Cina, India, Brasile etc.) chiedono un secondo protocollo alla scadenza del primo, con impegni vincolanti di riduzione delle emissioni per i paesi Annesso I. Altri paesi, Giappone, Federazione Russa sono viceversa contrari. Scontata l’opposizione dall’esterno del gruppo di lavoro degli USA. Si è però concordato, e non è poco,  che la proposta in gestazione non creerà soluzioni di continuità con il Protocollo che, ricordiamo, va a scadenza nel 2012. Non sono state concordate le riduzioni a carico dei paesi Annesso I, al contrario di quanto riferito da alcuni commentatori, ma il gruppo ha formalmente registrato gli impegni che ogni paese e l’Europa hanno assunto con le relative proposte (-30% al 2020 è la proposta EU, laddove si raggiunga un accordo generale, che dopo Cancun è più vicino) e, quel che più conta, sono stati acquisiti e registrati allo stesso livello formale, gli impegni annunciati dai paesi non Annesso I.

 

Pertanto, entro i limiti indicati, il Protocollo di Kyoto resta vivo e un secondo periodo di validità del Protocollo resta possibile. Occorre però prendere nota che la delegazione boliviana non ha sottoscritto questa conclusione sostenendo, tra l’altro, che la somma degli impegni di riduzione (pledges) annunciati da tutti i paesi non arriva al 60% di quanto necessario per l’obiettivo di contenimento in +2° della temperatura terrestre, un deficit noto come il gigatonne gap, dal momento che l’eccesso di emissioni rimanente è più o meno questo.

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