L’art. 2 del Dl 208/2008 (Danno ambientale): quando la decretazione d’urgenza complica i problemi

di Stefano Leoni

Il recente decreto legge del 20 dicembre 2008, n. 208, contiene al suo interno un articolo che apre ad una soluzione negoziale la definizione del contenzioso tra privato e pubblico riguardante il risarcimento del danno ambientale connessa con la determinazione degli obblighi di bonifica nei siti di interesse nazionale.

 

L’articolo trova la sua premessa nella considerazione assunta nel decreto legge, secondo cui sussiste oggi un’urgenza di garantire la certezza del diritto in relazione al diffuso contenzioso in materia di danno ambientale, nonché agli obiettivi di bonifica, di risanamento e risarcimento dell’ulteriore danno ambientale provocato, con riferimento ai siti contaminati di interesse nazionale.

 

A fronte di questa necessità viene strutturata una procedura, alternativa a previgente, di natura prettamente negoziale. Viene, infatti, disposta la facoltà in capo al Ministero dell’ambiente di poter promuovere un contratto di transazione, che comporta abbandono del contenzioso pendente e preclude ogni ulteriore azione per rimborso degli oneri di bonifica e di ripristino ed ogni ulteriore azione risarcitoria per il danno ambientale, ai sensi dell’articolo 18 della legge 8 luglio 1986, n. 349, o della Parte VI del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, nonché per le altre eventuali pretese risarcitorie azionabili dallo Stato e da enti pubblici territoriali, per i fatti oggetto della transazione. Sono fatti salvi gli accordi già stipulati o di cui sia comunque in corso, prima della data di entrata in vigore del presente decreto, il procedimento per la definizione transattiva della lite pendente.

 

La proposta presentata, in realtà, più che risolvere un’urgenza, rispetto alla quale non è dato conoscerne le dimensioni, rischia di creare ulteriore incertezza, nonché effetti negativi sull’ambiente e sulla salute pubblica.

 

1. Scarsa efficacia della disposizione.

 

A. L’articolo non specifica chi debba essere considerato il soggetto passivo del contratto. E’ notorio, infatti, che molti dei contenziosi oggi vigenti dipendono dalla contestazione dell’imputazione degli oneri di bonifica in capo a soggetti che, invero, ritengono di non essere i responsabili della contaminazione.

 

In tal caso, essi possono non avere alcun interesse alla stipula del contratto. Tranne nel caso in cui agli stessi non venga prospettato il riconoscimento delle proprie ragioni, se non addirittura un guadagno rispetto allo status quo.

 

Si tenga conto, peraltro, che rispetto ai soggetti interessati alle aree contaminate, ma non responsabili della contaminazione, sono già disponibili strumenti negoziali che possono agevolare il raggiungimento degli obiettivi ambientali, economici e sociali attesi dalle popolazioni interessate. Oltre alle procedure di cui all’art. 246 del d. lgvo 152/06, si deve ricordare anche l’art. 252.bis dello stesso decreto, nonché l’art. 18, della legge 179/02.

 

Pertanto, si deve ritenere che i soggetti non responsabili della contaminazione non siano interessati a sottoscrivere la proposta di un simile contratto.

 

B. Per quanto riguarda, invece, i responsabili di contaminazione l’introduzione di tale norma potrebbe divenire un’occasione per eludere i propri obblighi. Si deve considerare, infatti, che la sanzione disposta dall’art. 257 del d. lgvo 152/06 trova applicazione solo in caso di omessa bonifica. Una norma che di per sé – specialmente rispetto a quella preesistente – ha già una scarsa deterrenza.

 

Poiché l’art. 2 del d.l. 208/08 non dispone termini per la chiusura del procedimento, esso diviene di fatto uno strumento che può essere utilizzato dal responsabile per dilazionare i termini dell’esecuzione delle operazioni di bonifica e quindi anche rinviare la possibilità di contestare la fattispecie penale.

 

Si deve, inoltre, considerare che il responsabile che sta svolgendo le operazioni di bonifica e che oggi non si trova in contenzioso con l’amministrazione possa valutare i vantaggi che tale nuova disposizione gli offre, ovvero la possibilità di ridurre gli obblighi di risanamento e risarcimento senza il rischio di essere sottoposto all’imputazione di omessa bonifica. A seguito di tale valutazione potrebbe artatamente adire la giustizia e interrompere o quanto meno rallentare le operazioni di bonifica.

 

In questo caso, dunque la disposizione non risolverebbe, bensì aggraverebbe il problema che la novella si propone di affrontare.

 

C. Rimane, pertanto, l’ultima ipotesi: quella del soggetto responsabile dell’inquinamento che versa in uno stato di contenzioso con l’amministrazione statale.

 

Occorre in questo caso rilevare come lo strumento negoziale non cambia sostanzialmente il quadro della sua posizione soggettiva. Questo perché esso non è accompagnato da alcun deterrente. L’iniziativa assunta unilateralmente dall’amministrazione, infatti, non conduce necessariamente ad un buon esito. Tranne in un caso: quello che la conclusione del procedimento comporti un significativo vantaggio in capo al responsabile.

 

Si tenga, peraltro, presente che lo stesso responsabile che si trovi già in contrasto giurisdizionale con l’amministrazione potrebbe in ogni caso trovare conveniente utilizzare con intento dilazionatorio il procedimento descritto dal citato art. 2.

 

In conclusione, è assai dubbio che la novella contenuta nell’art. 2 possa comportare qualche vantaggio all’interesse comune, molto più probabile invece che possa aggravare il quadro di incertezza del diritto.

 

2. Rischio di vulnerare la tutela dell’ambiente e della salute.

 

Nell’art. 2 non è dato conoscere il livello di qualità ambientale e sanitaria sul quale poter determinare la definizione delle misure di bonifica. Mentre la normativa del 152/02 riporta elementi per valutare l’accettabilità del rischio residuo dopo le operazioni di bonifica, la novella citata non offre alcuna indicazione.

 

Quali sono, dunque, i limiti di accettabilità che dovranno essere rispettati? Occorre osservare al riguardo che nelle premesse del d.l. 208/08 si fa riferimento anche agli obiettivi di bonifica, pertanto sembrerebbero essere gli stessi “negoziabili” tra le parti. Con il perverso risultato che in alcune parti d’Italia potranno essere accettati fattori di rischio più alti che in altre parti, cosa fino ad oggi non consentita, poiché il fattore di rischio residuo – pur tenendo conto delle specificità del sito al quale si applica – secondo il d. lgvo 152/06 è identico sull’intero territorio nazionale.

 

Del resto che l’art. 2 costituisca una deroga ai procedimenti “ordinari” è più che ovvio. Poiché altrimenti non avrebbe alcun senso e spazio di azione. Tuttavia, esso costituisce un’eccezione senza alcun limite né rispetto al contenuto, né rispetto ai termini temporali.

 

Quello che viene introdotto nell’art. 2 è, dunque, una facoltà che verrebbe ad attivare un potere arbitrario in capo alla pubblica amministrazione. E come è noto, un potere arbitrario paralizza ogni iniziativa al riguardo ed espone a pesanti critiche. In altri termini, comporta il pericolo di un aumento dei contenziosi.

 

3. La normativa “ordinaria”.

 

Come si è detto, l’art. 2 non risolve i problemi, ma sembra complicarli. A tal fine, andiamo a verificare se questi possono essere risolti con la normativa contenuta nel d. lgvo 152/06.

 

Premesso che anche questa soffre di pesanti lacune e dimenticanze, che ne rendono difficile l’applicazione, vale comunque la pena esaminare gli strumenti in essa contenuti e procedere ad una loro applicazione ed eventuale correzione.

 

Come è noto l’art. 242 del d. lgvo 152/06 stabilisce che l’avvio di un procedimento di bonifica venga contestualmente trasmesso al Ministro dell’ambiente ai sensi dell’art. 304 del medesimo decreto, che attiene alla Parte VI inerente ai procedimenti di risarcimento del danno ambientale.

 

Questa disciplina attribuisce in capo al Ministro dell’ambiente la centralità del procedimento – e su questo aspetto l’art. 2 citato, invece entra in conflitto in quanto l’attribuisce al Ministero – di riparazione ambientale. E’ bene ricordare che gli art. 306, al comma 2, testualmente recita il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio decide quali misure di ripristino attuare, in modo da garantire, ove possibile, il conseguimento del completo ripristino ambientale, e valuta l’opportunità di addivenire ad un accordo con l’operatore interessato nel rispetto della procedura di cui all’articolo 11 della legge 7 agosto 1990, n. 241.

 

Quindi, lo strumento dell’accordo è già nella disponibilità del Ministro e come tale consente di poter operare delle transazioni al riguardo, anche in combinato con il sopra citato art. 246. L’unica differenza che è data cogliere sembra rappresentata da fatto che gli accordi disposti nel 152/06 sono consentiti all’interno di regole certe rispetto ai limiti di accettabilità sanitaria e ambientale e rispetto ai tempi di conclusione di tali procedimenti.

 

Pertanto, piuttosto introdurre il nuovo articolo 2 che stratifica la normativa esistente per la medesima ipotesi, sembrerebbe preferibile una normativa che combini gli artt. 246 e 306, disponendo che per detti accordi debba essere assunto il parere dell’ISPRA – piuttosto che dell’Avvocatura dello Stato – e che possano contenere anche la facoltà di comportare l’abbandono del contenzioso pendente.

 

Si ritiene, infatti, da un lato che il supporto tecnico dell’ISPRA sia più consono rispetto a quello della COVIS, nel quale rientrano professionalità e tecnici che non hanno alcuna esperienza nel settore e, dall’altro, che prevedere la preclusione di ogni ulteriore azione per rimborso degli oneri di bonifica e di ripristino ed ogni ulteriore azione risarcitoria per il danno ambientale costituirebbe una sanatoria inaccettabile – peraltro senza alcuna remunerazione -, che verrebbe a gravare interamente sulla collettività sia in termini ambientali che sanitari.

 

 

Stefano Leoni
Vice Presidente del WWF Italia

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