Rapporto sullo status degli habitat prioritari europei

di Stefano Leoni

E' stato di recente reso noto il rapporto, redatto ogni 6 anni, sullo stato di conservazione degli habitat prioritari, individuati ai sensi della direttiva 92/43/CEE, e delle specie avifaunistiche, classificate dalla direttiva 79/409/CEE.

Questo studio viene condotto dall’Agenzia Europea per l’ambiente sulla base dei dati prodotti dagli stati membri e costituisce la base per l’aggiornamento della strategia europea sulla biodiversità. Queste due direttive sono di vitale importanza per la conservazione degli assett naturali europei. La direttiva habitat, infatti, definisce 231 tipologie di ambienti naturali di pregio e di oltre 1200 specie animali e vegetali. Oggi il regime di protezione di questa direttiva riguarda oltre 26.000 siti in tutta l’Europa – circa il 18% del suo territorio e il 4% dei mari territoriali europei -, che costituiscono la rete Natura 2.000, la rete coordinata di aree protette più estesa al mondo.

Secondo studi condotti dall’UE questa rete offre servizi ecosistemici per un valore equivalente a 200/300 miliardi di euro all’anno. Molto più dei costi della loro gestione.

Mentre la direttiva di protezione dell’avifauna inquadra un regime di tutela per circa 240 specie migratorie, la cui presenza è di fondamentale importanza per la produttività dei nostri sistemi agricoli. Queste specie, infatti, svolgono servizi come ad esempio di competitori per gli insetti nocivi, di riequilibrio faunistico, di arricchimento organico dei suoli, di seminazione, ecc… Secondo il rapporto vi è ancora uno stato di forte sofferenza circa la qualità degli habitat prioritari: solo il 16% risulta in una condizione soddisfacente (ossia non esistono rischi per la sua conservazione); il 47%, invece, risulta insoddisfacente/inadeguato (ossia si richiede un cambiamento della sua gestione per poter raggiungere lo stato di soddisfacente); il 30 % è, purtroppo, a rischio (ossia esiste il pericolo della sua estinzione); infine, del 7% non risultano dati utili alla loro valutazione.

Le attività che maggiormente impattano sulla qualità degli assett terrestri sono l’agricoltura e silvicoltura, le modificazioni del territorio, le cave e le miniere, ma cominciano a registrarsi impatti derivanti dal cambiamenti climatici.

 

Mentre per gli assett marini ha un significativo impatto l’inquinamento, ma anche il sovrasfruttamento della pesca e la modificazione delle condizioni naturali.

 

Il quadro che ci restituisce non è, quindi, confortante.

Tuttavia, ci indica dei settori economici rispetto ai quali agire prioritariamente e fornisce utili spunti per ottimizzare le politiche di conservazione.

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