di Andrea Barbabella da HuffPost
Il 3 luglio 2022 era una bellissima domenica d’estate, una di quelle giornate in cui i sentieri alpini sono vie per il paradiso. Alle 13:45, il più grande ghiacciaio delle Dolomiti, a oltre 3 mila metri di quota, sulla Marmolada, improvvisamente collassa, trasformando in un istante quella giornata incredibilmente tersa e calda – facevano più di 10 °C e non era un dato usuale – in un inferno. Undici persone perdono la vita, travolte da un muro di decine di migliaia di metri cubi di rocce e ghiaccio proiettato verso valle a trecento chilometri orari, come una Formula 1 lanciata sul rettilineo di Monza. Ma tutto questo non è avvenuto per una semplice casualità.
I ghiacci sono sentinelle attente e scrupolose di un clima che sta cambiando in un modo incredibilmente rapido. All’inizio del secolo scorso la Marmolada era un gigante da 100 milioni di m3 di ghiaccio, oggi supera di poco i 10 milioni di m3. Nella sola estate del 2022, il ghiacciaio aveva perso 4 metri di spessore e il suo fronte era arretrato di più di centro metri. Non è qualcosa che può sorprendere chi osserva da decenni questi giganti bianchi. È il naturale decorso di un progressivo mutamento del clima, le cui cause sono stranote e tutt’altro che naturali. Solo qualche settimana fa queste montagne hanno fatto segnare un nuovo record, con lo zero termico che per la prima volta ha raggiunto quota 5.400 metri. Questo vuol dire che tutti i ghiacciai e le nevi alpine, inclusi quelli sulla vetta del Monte Bianco a oltre 4.800 m di altitudine, sono stati esposti a temperature superiori allo zero e, quindi, hanno cominciato a fondere anche se solo per poche ore.
Ovviamente non ci sono solo le vittime e i feriti. Ci sono danni economici a un settore, quello turistico, che per quelle terre è semplicemente vitale. Ma ci sono ripercussioni ancora più gravi laggiù, a valle, in quel triangolo d’Italia dove vivono 20 milioni di nostri concittadini spersi in otto Regioni. La scomparsa dei ghiacciai alpini significa modificare nel profondo il bilancio idrologico dell’area più abitata e produttiva del Paese. In poco più di un ventennio i ghiacciai alpini in Italia hanno perso circa 50 km3 di acqua: è come se fosse evaporata una città fatta interamente di ghiaccio, tutta con palazzi di otto piani ed estesa due volte Roma: la più grande città d’Europa.
Eppure, osservando da chilometri di distanza la sfera blu su cui viviamo, come bisogna fare per comprendere i mutamenti planetari come quello in corso nel sistema climatico, la storia che abbiamo appena raccontato e che riguarda i nostri amati giganti bianchi delle Alpi, non emerge come eccezione. Quando parliamo dei ghiacciai del mondo, la più grande riserva di acqua dolce del Pianeta, parliamo di qualcosa come 24 milioni di km3 di ghiaccio, ospitati in larghissima parte dalle due grandi calotte polari del Pianeta. E nel 2023, secondo le stime della World Meteorological Organization, a livello mondiale i ghiacciai hanno perso l’equivalente di cinque volte l’acqua contenuta nel Mar Morto. Perso, per sempre.
Dieci anni fa, a Parigi, nel primo e al momento unico Accordo globale sul clima, praticamente tutti i Governi del mondo si erano impegnati a fare ogni sforzo possibile per mantenere la temperatura media mondiale al di sotto della soglia di +1,5 °C rispetto al periodo pre-industriale. Quel valore entrò in verità un po’ a sorpresa sul tavolo delle trattative, fino a quel momento si era sempre ragionato su una soglia di +2 °C. E la differenza può sembrare piccola ma in realtà fa una grande differenza in termini di tagli delle emissioni. Quella nuova soglia fu introdotta, principalmente grazie al lavoro James Hansen, uno dei più grandi climatologi al mondo, proprio per scongiurare la possibilità che si raggiungessero quei “punti di non ritorno” oltre i quali saremmo stati proiettati inesorabilmente verso un Pianeta senza più ghiacci.
Come molti di noi sanno, proprio nel 2024 per la prima volta nella storia quella soglia l’abbiamo superata. Certo non basta un anno per poter dire di essere andati stabilmente sopra quel limite di sicurezza, ma dovrebbe rappresentare un campanello di allarme incredibilmente rumoroso. Eppure si sente sempre più spesso dire che la via maestra da seguire è quella dell’adattamento a un clima che cambia e che tutto sommato potremmo anche rallentare sul fronte della transizione energetica e del taglio delle emissioni climalteranti.
Questa illusione è forse, almeno in parte, alimentata dal fatto che oggi parliamo di aumenti del livello dei mari riconducibili alla fusione dei ghiacci dell’ordine di alcuni millimetri all’anno, che potrebbero sembrare ai più tutto sommato innocui. Ma allora perché mai una parte importante della comunità scientifica vede proprio nell’innalzamento dei mari uno dei rischi più gravi del surriscaldamento globale? Semplicemente perché sa che siamo solo all’inizio di un fenomeno in fase di accelerazione esponenziale e sa anche che un mondo senza ghiacci è già esistito, l’ultima volta giusto 3 milioni di anni fa. Un mondo in cui potremmo ritrovarci di nuovo, e nel giro non di migliaia di anni ma di alcune generazioni, e in cui il livello dei mari sarebbe di 60-70 metri più alto di quello attuale. Il che vorrebbe dire la perdita definitiva della maggior parte delle aree urbane e delle infrastrutture alla base della nostra economica, manufatti che abbiamo costruito nell’arco di secoli e millenni proprio grazie al fatto di aver vissuto, senza alcun merito, in un periodo caratterizzato da uno straordinario equilibrio tra terra, ghiaccio e mare. Equilibrio che forse ancora potremmo salvare, se solo smettessimo di cercare in continuazione alibi per non agire.



