L’Italia non tiene il passo nella crescita delle rinnovabili elettriche

di Edo Ronchi

da HuffPost

Dai Rapporti mensili di Terna conosciamo i dati a consuntivo, fino a novembre del 2022, della produzione di elettricità e dei nuovi impianti a fonti rinnovabili. L’elettricità richiesta in rete negli 11 mesi del 2022, con alta probabilità anche a fine anno, è la stessa del 2021; la quota della produzione di elettricità da fonte rinnovabile è però calata dal 41,6% del 2021 al 36,6% nel 2022, quella da fonte fossile è quindi aumentata del 5%.

Nel 2022 le emissioni di CO2 della produzione di elettricità sono aumentate: la decarbonizzazione del nostro sistema elettrico non solo non tiene il passo con il target europeo, ma è rallentata. Il calo della produzione di elettricità da fonte rinnovabile, nei primi 11 mesi del 2022, è stato del 12%, dovuto alla diminuzione del 17% della produzione di quella idroelettrica, non compensato dall’aumento del 12,2%, dell’eolico e del 31% del solare. A novembre 2011 sono stati installati 2.195 MW in più di solare e 444 MW in più di eolico; aggiungendo i 28 MW in più di idro e 1 MW in più di biomasse e geotermico, arriviamo a 2,688 GW. Supponendo che a dicembre si mantenga la media di nuovi impianti installati di novembre, arriveremo intorno ai 3 GW di nuovi impianti per fonti rinnovabili nel 2022: la metà di quelli -ricordate? – annunciati dal precedente governo e circa un terzo di quelli che servirebbero per fare la nostra parte in traiettoria con i target europei.

Nonostante l’aumento dei prezzi del gas, nonostante l’esigenza di ridurre la dipendenza dalle importazioni di gas e petrolio dalla Russia, nonostante i danni causati dal cambiamento climatico in Italia, non abbiamo ancora il passo giusto nella crescita delle rinnovabili elettriche. Sento spesso dire che è “tutta colpa della burocrazia“: un po’ il paravento usato per coprire diverse responsabilità politiche. L’Italia non dispone, infatti, ancora di un nuovo piano nazionale per il clima e l’energia, aggiornato ai nuovi target europei anche per le rinnovabili; le Regioni italiane non hanno target per lo sviluppo delle rinnovabili sui rispettivi territori; i Comuni non sono coinvolti attivamente per raggiungere obiettivi di sviluppo di impianti a fonti rinnovabili sui loro territori. L’Italia è l’unico grande Paese europeo che non ha una legge per il clima: una legge necessaria per fissare un quadro di riferimento stabile e pluriennale per le misure necessarie per fissare, realizzare e monitorare i target al 2030 e successivi, per dare rilevanza strategica, di interesse e di sicurezza nazionali, agli obiettivi climatici e alle misure necessarie per raggiungerli, compresi quelle per lo sviluppo delle fonti rinnovabili di energia.

Sulle procedure di autorizzazione troppo lunghe e che generano numerosi blocchi si è fatto un gran parlare, ma senza effettiva capacità di generare quei cambiamenti indispensabili per farci stare al passo con l’emergenza climatica. Dobbiamo grande riconoscenza per il prezioso lavoro svolto dalle Soprintendenze nella tutela del nostro patrimonio archeologico, storico, artistico e architettonico. La tutela del paesaggio, tuttavia, richiede, quando si interviene nei processi di autorizzazione degli impianti per fonti rinnovabili, un approccio più complesso di quello applicato con la visione e le competenze dei beni culturali, almeno al di fuori dei paesaggi di particolare e significativo valore culturale e storico. Per una ragione che non può più essere posta in secondo piano: gli impianti per le fonti energetiche rinnovabili, sono indispensabili per affrontare la crisi climatica e per impedire che abbia impatti, anche ambientali devastanti. Questa è una novità che richiede, fra l’altro, anche un adeguamento normativo che elimini, al di fuori di ben determinate aree e contesti precisamente definiti per il loro alto valore culturale, archeologico, storico o architettonico, il potere di veto delle Soprintendenze nella procedura di autorizzazione degli impianti per fonti energetiche rinnovabili, che devono far parte del nostro nuovo paesaggio energetico della transizione alla neutralità climatica: nuovo paesaggio energetico, anche delle future generazioni che hanno il diritto, recentemente sancito dalla modifica dell’art.9 della nostra Costituzione, di non dover pagare costi insostenibili generati dalla precipitazione della crisi climatica.

Nonostante la leadership raggiunta dal sistema italiano – emersa anche alla recente Conferenza nazionale del riciclo – col 72% di tutti i nostri rifiuti avviati al riciclo, a fronte di una media europea del 53% e della Germania del 55% (dati Eurostat  del 2020), nonostante l’avvio al riciclo del 73% dei nostri rifiuti d’imballaggio nel 2021, in anticipo di 9 anni sul target europeo del 70% al 2030, c’è, anche in Italia, chi sostiene la necessità di cambiare radicalmente il nostro sistema per passare a quello basato sulla restituzione con il deposito cauzionale, anche per il grosso dei rifiuti, quelli destinati al riciclo. Ogni opinione è legittima: non si dica però che questa opinione porterebbe miglioramenti ambientali. Abbiamo impiegato 25 anni per arrivare agli attuali buoni risultati con il nostro sistema. I cittadini italiani, in gran parte, l’hanno adottato partecipando alla raccolta differenziata. Migliaia di comuni si sono organizzati per far funzionare, in genere bene, questo sistema. Numerose imprese, grazie alla robustezza e ai flussi consistenti alimentati da questo sistema, sono cresciute sviluppando un sistema anche industriale di riciclo. Migliorare il nostro sistema è utile e possibile. Ma, visti i risultati, perché mai dovremmo annullarlo, per farne un altro basato sul deposito cauzionale?

Ben altro conto è il rafforzamento del riutilizzo. In Italia nel 2021 abbiamo riutilizzato 2.340.000 tonnellate di imballaggi, il 16,2% del totale: 1 milione e 77 mila tonn. di pallet di legno, 612 mila tonn. di pallet, cassoni e cassette di plastica, 375 mila tonn. di fusti e contenitori in acciaio, 226 mila tonn. di bottiglie in vetro per acqua minerale e birra e 50 mila tonn. di contenitori in alluminio. È in discussione una nuova proposta di Regolamento europeo che, fra l’altro, punta a rafforzare il riutilizzo degli imballaggi. Avendo noi significative quantità di imballaggi riutilizzati, dovremmo essere in grado di rispondere alla richiesta europea di rafforzamento, in modo flessibile e decentrato, valutando caso per caso, filiera per filiera, la soluzione più efficace, senza dover per forza istituire sistemi centralizzati e rigidi di deposito cauzionale. Cercando anche di evitare errori che potrebbero compromettere l’efficacia ambientale delle nuove misure. Gli imballaggi in materiale biodegradabile – come la carta e la plastica biodegradabile e compostabile – sono monouso, ma sono anche facilmente riciclabili e riciclati in grande percentuale, con basso consumo di energia. Non sarebbe ambientalmente vantaggioso sostituirli con imballaggi multiuso in plastica, non biodegradabile, con più alto consumo di energia per la produzione, il riciclo e il riuso. Il riutilizzo di contenitori per bevande e alimenti, riempiti più volte nei punti di vendita, richiederebbe – per evitare rischi sanitari specie in periodo di Covid – lavaggi accurati, sterilizzazioni efficaci e asciugatura. Simili operazioni, per moltissimi contenitori in numerosi punti di vendita, richiederebbero alti consumi di energia, con costi significativi e con un aumento delle emissioni di gas serra; richiederebbero rilevanti aumenti dei consumi di acqua che, invece, dobbiamo ridurre, specie in molte regioni colpite da lunghi periodi di siccità causati dalla crisi climatica.

In conclusione mi pare utile proporre una riflessione, non solo per questo caso: per individuare e applicare soluzioni ambientali efficaci sarebbe bene evitare approcci superficiali, basati su prime generiche impressioni, e cercare invece di ricorre a valutazioni tecniche accurate.

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