Lo stato della Green economy: un nuovo rapporto americano

A cura di Toni Federico

Green economy: è ora di bilanci? Certamente no. Siamo nel pieno della trasformazione e occorre piuttosto rimboccarsi le manie fare opera di convincimento.

Dopo la Conferenza di Rio+20 del giugno del 2012 a taluni era potuto sembrare che la green economy fosse entrata da papa per uscire da cardinale.

In pochi mesi la realtà si è mostrata del tutto diversa.

Le iniziative di economia e di crescita verde fioriscono dappertutto e la convinzione che la strada per uscire dalla crisi economica, ecologica e sociale sarà green ha ormai fatto breccia in tutte le opinioni. Ci è capitato di sentire, e non possiamo far a meno di riferire, in una recente assemblea di un gruppo di lavoro degli Stati generali della Green economy che “La green economy è un’alternativa alla decrescita infelice”. Semplice e gustoso messaggio per i fan dell’equazione tra green economy e green washing.

Dall’altra parte il numero di imprenditori che per loro conto fanno innovazione green cresce di giorno in giorno. I nostri amministratori hanno per parte loro definitivamente acquisito nel loro lessico corrente la green economy, vedremo se questo varrà anche per le loro azioni. Siamo ormai nella fase della temibile esondazione retorica, che abbiamo osservato per tutti i paradigmi moderni e suggestivi, a partire dallo sviluppo sostenibile.

La Cina, che con i suoi BRICS aveva stoppato a Rio+20 la roadmap europea per la green economy, dopo aver fatto proprio il mercato dei pannelli solari, non fa che investire green e dare corso a sempre nuove iniziative green e costruire green city, fin troppo perfette simulazioni di come si deve costruire dal nulla una città intelligente e sostenibile. L’opposizione di Rio era dunque di natura competitiva e adombrava qualche contenuto di tutto rispetto, in primo luogo il rifiuto delle ricette uniche (one size fits all) e il richiamo ai paesi ricchi, da parte dei nuovi invitati, a rispettare gli obblighi e le responsabilità verso i paesi poveri e il patrimonio naturale mondiale. Ben lontani dallo scoraggiamento gli occidentali hanno imparato la lezione di Rio e il cammino è ripreso di gran lena. Ne sono segni i ripetuti interventi del Presidente nordamericano Obama sui cambiamenti climatici, indirizzati al suo Congresso che continua a fare resistenza passiva e a bloccare il suo progetto di cap&trade delle emissioni serra.

L’Europa per conto suo, pur soffrendo le crisi, i governi di molti paesi insensibili e arretrati, e pur abbassando il profilo politico generale, consolida la Strategia EU 2020 che disegna un modello di sviluppo realmente ambizioso, per il quale la green economy è un passo obbligato (vedi: “A Roadmap to a resource efficient Europe” del settembre 2001).

Il Rapporto, di cui consigliamo la lettura, è stato preparato dalla AtKisson di Seattle per conto del WWF svedese: “Green Economy 2013. A Strategic Briefing on the State of Play in the Global Transition”. L’obiettivo dello studio è investigare lo stato globale della transizione alla green economy e sulle grandi questioni di merito cioè sullo spostamento degli investimenti di capitale in tecnologie verdi, sul disaccoppiamento sistematico della crescita economica dal consumo di risorse, sull’accreditamento del capitale naturale nei bilanci dell’economia corrente etc.

Ci ha sorpreso la straordinaria comunione di punti di vista e di dati informativi con ciò che stiamo sviluppando attorno all’iniziativa degli Stati generali della Green economy in Italia ed anche con la sensibilità e le intuizioni in materia di green economy della Fondazione. Il mondo nordamericano è assai diverso dal nostro né apparentemente c’è mai stato un particolare feeling tra Europa e Stati Uniti in fatto di cambiamento del modello di sviluppo e dell’avvio di una transizione verso una nuova economia, nuove attitudini e bisogni, nuovi consumi e una nuova idea di benessere più equo ed inclusivo. Eppure argomenti e conclusioni della AtKisson possono essere in gran parte anche i nostri.

C’è una enorme quantità di attività in tutto il mondo intorno ai concetti della transizione, spesso ai più alti livelli di governo e di leadership aziendale. Allo stesso tempo, però, alcuni aspetti stanno evolvendo molto lentamente o sono anche in fase di stallo, mentre si cerca il denaro necessario per rendere la green economy una realtà. Paesi di tutto il mondo hanno intrapreso programmi di green economy, a scale dal piccolo al gigantesco. La Cina sta cercando di creare un settore green economy del valore di centinaia di miliardi di dollari. Ciò nonostante i critici, se conservatori la considerano uno spreco di denaro, e se ecologisti duri e puri talvolta pensano che si tratti di una riverniciatura del business-as-usual. La mobilitazione degli investimenti, Cina a parte, è ancora minima, così come la sensibilità di molti governi anche a noi vicini. Alcune nazioni pretendono di aver raggiunto il disaccoppiamento assoluto in certi settori, mentre i critici sostengono che il disaccoppiamento è un sogno impossibile senza una vera inversione del trend della crescita globali. La natura e i servizi ecosistemici compaiono ormai nei bilanci e nei calcoli economici di tutto il mondo, tanto che la stessa UNEP che ha lanciato la campagna, ora teme che la tendenza a monetizzare la natura sia già andata troppo oltre. Abbiamo per molto tempo disputato sulle differenze tra le varie accezioni della transizione, se cioè si dovesse trattare di un’economia nuova capace di restare entro i “limiti planetari” di Nature (Rockstrom, 2009) o piuttosto di uno sviluppo economico improntato alla crescita che produce posti di lavoro, reddito, e miglioramento del benessere materiale o infine se si dovessero evidenziare più fortemente gli aspetti sociali senza porre condizioni quantitative stringenti. Da Rio +20 è nato una nuova visione della green economy che minimizza drasticamente queste differenze basandosi su due elementi. Il primo è la ridefinizione formale della green economy, che è stata negoziata dai leader mondiali in modo che includa sempre una molto più forte dimensione sociale ed un forte orientamento sistemico. Formalmente la definizione è: “una green economy nel contesto dello sviluppo sostenibile e dell’eliminazione della povertà”. Il secondo nasce da una formulazione abile, promossa massimamente dalla Corea del Sud, leader negli investimenti green per i pacchetti di stimolo durante la crisi, che spiegava che la green growth è uno strumento per il raggiungimento di una green economy che è a sua volta un passaggio decisivo per uno sviluppo sostenibile. La nuova economia non è ormai dunque che l’istanziazione dell’economia per lo sviluppo sostenibile: “simply a new way to talk about the economic dimension of sustainable development” Fornire gli investimenti di capitale per finanziare la transizione è probabilmente il più impegnativo aspetto della green economy. La portata della sfida è davvero molto grande. Uno studio prodotto dal World Economic Forum di quest’anno, già segnalato dalla Fondazione, ha mostrato una possibile strategia: utilizzare la finanza pubblica come stimolo. Dopo aver calcolato la necessità di investimenti per la crescita green a circa 5.000 MldUS$ l’anno, gli autori calcolano che investimenti aggiuntivi pari a circa 700 miliardi all’anno (necessari per il cambiamento climatico, mitigazione e adattamento) potrebbe prima essere raggiunti attraverso la mobilitazione del 20% di tale somma, circa 130 miliardi dollari, da parte dei governi che poi creerebbe moltiplicatori per queste somme più grandi di provenienza privata.

Lo studio conclude con una serie di raccomandazioni, tra cui:

 focalizzare l’attenzione politica e dei movimenti sul sotto dimensionamento degli investimenti per trasformare l’economia. Chiedere ai governi di onorare i loro impegni per il Fondo verde per il clima;

 promuovere nuove leggi, incentivi e regolamenti per guidare l’aumento degli investimenti nel la green economy, in particolare attraverso la regolazione e l’incentivazione del settore bancario;

 promuovere l’uso accelerato di indicatori alternativi del benessere;

 evidenziare, promuovere, e tentare di accelerare l’adozione di nuovi strumenti di valorizzazione per mettere i servizi e i costi ambientali sui bilanci nazionali;

 disinvestire sui combustibili fossili,

 promuovere partnership con i sindacati per la promozione di strategie per i green job, utilizzando le migliori analisi e i migliori modelli disponibili, concentrati soprattutto sui problemi della disoccupazione giovanile;

 collaborare con le istituzioni finanziarie per lo sviluppo di nuove strategie e iniziative per il finanziamento della green economy.

In un passaggio storico dalle parole ai fatti,

 i governi di tutto il mondo sono alle prese sempre più seriamente 

con la sfida di sviluppare una Green Economy.

Ma la sfida è enorme.

(AtKisson Group’s Sustainability Intelligence Unit)

Facebooktwitterlinkedinmail