Ronchi: “Crediti di carbonio, mercato volontario un cantiere aperto”

“Il mercato volontario dei crediti di carbonio è un cantiere aperto. Ed è giusto parlarne perché il tema è molto sensibile…”. Così Edo Ronchi, ministro dell’Ambiente nei governi Prodi e D’Alema, oggi presidente della Fondazione per lo sviluppo sostenibile, il centro studi che lui ha fondato e che opera in Italia da 14 anni, entra nel dibattito sui carbon offset: gli strumenti finanziari che permettono alle aziende di compensare le loro emissioni di anidride carbonica e di altri gas a effetto serra.

Ronchi parte da una premessa: “Il meccanismo dei credit offset non è sbagliato, ma la sua applicazione è da rivedere perché consente delle scappatoie che si evidenziano nel diverso costo della riduzione della CO2 rispetto ai certificati europei Ets che invece certificano una riduzione effettiva di anidride carbonica. A febbraio, il prezzo degli Ets ha superato la cifra record di 100 euro a tonnellata, quello dei crediti volontari di carbonio oscilla tra 12 e 23 dollari (fonte: S&P). La differenza è obiettivamente stridente”.

Quale potrebbe essere la soluzione migliore per ridurre il gap di prezzo tra mercato regolamentato (Ets) e volontario?

“Innanzitutto, i carbon offset non si possono eliminare perché questo indebolirebbe la cooperazione e ridurrebbe gli investimenti nei Paesi in via di sviluppo: in particolare, in settori chiave come energia e rinnovabili, difesa ambientale e riforestazione delle foreste. Parliamo di investimenti che portano lavoro e aiutano alle comunità locali. Però, il problema del mercato dei crediti di carbonio volontari esiste e per risolverlo bisognerebbe intervenire a monte, cioè lavorando su un criterio di valutazione unico e condiviso da tutti gli attori in campo. Questa soluzione, ad esempio, eviterebbe valutazioni sovrastimate dei progetti di riforestazione”.

Perché è così difficile trovare un accordo sui criteri di valutazione?

“Ci hanno provato alle Nazioni Unite, ma non ci sono riusciti perché si devono superare barriere di diritto internazionale, problemi di interferenze con la legislazione degli Stati e difficoltà tecniche. Nell’ultimo caso, mi riferisco ad esempio alle tecniche di coltivazione che spesso sono difficili da valutare. Prendiamo il caso di una tecnica di coltivazione che consente, in linea di massima, di mantenere una certa quantità di carbonio organico nel sottosuolo. Riusciamo a valutare esattamente la quantità di carbonio? Difficile, possiamo al massimo stimarla. Ecco questo è uno di quei problemi di difficile risoluzione”.

Il mercato volontario dei crediti di carbonio ha un futuro?

“Sì ma solo se riusciamo a trovare una forma di regolamentazione che elimini gli abusi e che renda più trasparente e rigorose le valutazioni”.

Alle imprese italiane consiglierebbe di utilizzare le attività di carbon offsetting oppure no?

“Consiglierei di utilizzarle ma solo per riduzioni marginali di CO2 rispetto all’impegno aziendale. Per intenderci, è impensabile che un’azienda riduca le sue emissioni complessive con il 40% delle attività di carbon offsetting”.

Quale potrebbe essere la giusta quota di compensazione nelle strategie aziendali di decarbonizzazione?

“Nel dibattito sulla neutralità climatica, la stima oscilla tra il 5% e l’8%, alcuni si spingono fino al 10%. Sono queste le quote su cui si sta ragionando a livello mondiale. Tuttavia, più si avvicina l’obiettivo delle emissioni nette zero, più le richieste per regolamentare i credit offset diventano stringenti, anche perché assumono un fattore di competitività per le aziende. Non a caso, già oggi, si è fatta più insistente la richiesta di maggiore controllo e rigore sulle attività di compensazione”.

Il discorso cambia se il dibattito si sposta sui settori hard-to-abate, dove decarbonizzare è più difficile…

“Si certo per alcune produzioni hard-to-abate il discorso cambia ma fino a un certo punto. Va bene la compensazione, ma l’attenzione di tutti dovrebbe concentrarsi di più sulla cattura e sequestro della CO2 per delineare una vera strategia di decarbonizzazione dei settori industriali energivori”.

Il mercato Ets, il più avanzato a livello mondiale, e quello volontario de crediti di carbonio dovrebbero interagire?

“Assolutamente sì, il mercato volontario dovrebbe prendere a modello il sistema Ets che ha ridotto le emissioni promuovendo gli investimenti in innovazione tecnologica in molte grandi e medie imprese”.

 

Articolo orginilale pubblicato su La Repubblica
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