Verso l’economia circolare, quali sono i nodi critici delle modifiche alla Direttiva quadro?

di Emmanuela Pettinao

“Estrai, produci, consuma e riproduci”, questo deve essere il nuovo modello di economia cui tendere: un’economia circolare che cerchi di imitare i cicli naturali trasformando gli scarti in nuovi materiali.


In tale ottica, il 2 dicembre 2015, l’Unione europea ha proposto un riesame della legislazione in vigore e un’analisi dei principali obiettivi delle direttive sui rifiuti, attraverso la pubblicazione del Pacchetto sull’economia circolare L’anello mancante – un Piano d’azione europeo per l’economia circolare. Al suo interno sono presenti le proposte di revisione delle principali Direttive sui rifiuti (Direttiva Quadro, Imballaggi, Discariche, RAEE, Batterie e accumulatori e Veicoli a fine vita) e sono indicati i nuovi obiettivi a medio termine di preparazione per il riutilizzo e riciclaggio dei rifiuti urbani.

L’implementazione di queste modifiche permetterà di rendere l’Europa più competitiva, riducendo, da un lato, l’utilizzo delle risorse e gli sprechi e, dall’altro, aumentando il riciclaggio. Ora, però, l’Italia si deve impegnare nella trattativa con gli altri Stati Membri e con la Commissione per l’approvazione delle riforme alle Direttive. Ma quali sono i principali nodi delle modifiche alla Direttiva quadro da sciogliere?
Il Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare ha istituito un Tavolo nazionale di consultazione degli stakeholders sull’economia circolare con il supporto della Fondazione, e, dalla consultazione di questo tavolo, emergono una serie di elementi critici che vanno chiariti possibilmente in sede europea per evitare problemi successivi di interpretazione e recepimento.
Leggendo il testo, si incontrano delle criticità a partire da alcune nuove definizioni introdotte, come per esempio quella di “processo finale di riclaggio”, cioè il processo che inizia quando non sono necessarie ulteriori operazioni di cernita meccanica e i materiali da rifiuto entrano in un “processo di produzione” che li trasforma in prodotti, materiali e sostanze. Ma, si può considerare ancora un processo finale di riciclaggio se, invece, fossero necessarie ulteriori operazioni di recupero diverse dalla cernita meccanica (ad esempio di frantumazione dello pneumatico o di maturazione del compost) o se i rifiuti entrassero in un processo, non di produzione, ma di riciclo che li trasforma in prodotti, materiali e sostanze?

Anche i nuovi Requisiti generali in materia di Responsabilità Estesa del Produttore lasciano aperta qualche domanda soprattutto per quanto riguarda la definizione dello spazio geografico di azione: è lo spazio di vendita dei prodotti destinati a diventare rifiuti? O tutto il territorio nazionale? Altro tema da chiarire è, poi, quello dei “costi ottimizzati”, è previsto, infatti, che i produttori coprano la totalità dei costi della raccolta e si basino “sui costi ottimizzati” dei servizi forniti se i compiti operativi sono svolti da gestori pubblici di rifiuti. Ma, quali sono i fattori di costo che rientrano nel calcolo dell’ottimizzazione dei costi? Potrebbe essere, per esempio, la grandezza del bacino servito, la tipologia del territorio, la distanza degli impianti di riciclo? E se i gestori di rifiuti non sono pubblici, ma privati, non valgono i costi ottimizzati?

Relativamente poi, ai sottoprodotti vi è il timore che la nuova formulazione possa appesantire l’attuale disciplina, non essendo chiaro se gli Stati membri devono definire regole tecniche funzionali al riconoscimento dei sottoprodotti in ogni caso o se è una loro facoltà da esercitare solo quando è necessario. Ma anche per la cessazione della qualifica di rifiuto non è chiaro se sia possibile regolare l’end of waste, caso per caso, nell’autorizzazione, ordinaria o semplificata, di un’attività completa di riciclo.

Una grossa carenza, infine è legata ai sostegni economici alla gerarchia dei rifiuti. La Direttiva, infatti, consente agli Stati membri di adottare strumenti economici per fornire incentivi per il rispetto della gerarchia dei rifiuti, ma non definisce quali possano essere gli strumenti utilizzabili. La Direttiva sembra carente sul tema degli interventi a favore della domanda di materie prime secondarie, soprattutto su determinate misure, come quelle a carattere fiscale (per esempio l’IVA agevolata), che possono essere adottate solo grazie ad un coordinamento minimo a livello europeo. Sarebbe meglio se la Commissione approfondisse il tema citando almeno alcuni di questi strumenti per incoraggiare l’azione degli Stati membri (per esempio il GPP e le agevolazioni fiscali). In generale il tema degli strumenti europei attuativi della circular economy è ancora debole.

L’Europa, quindi, ha indicato la strada verso l’economia circolare, ma l’Italia deve impegnarsi a risolvere i punti ancora non chiari e soprattutto si deve preparare al successivo recepimento cercando, con l’occasione, di eliminare gli ostacoli normativi che, ad oggi, limitano il pieno sviluppo del riutilizzo e del riciclaggio dei rifiuti.

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