Biomimesi: produrre idrogeno ispirandosi alla struttura delle ali di farfalla

Le ali delle farfalle sono tra le strutture più delicate presenti in natura, ma hanno anche proprietà strutturali così sofisticate da ispirare lo sviluppo di una nuova tecnologia per produrre gas idrogeno a partire da acqua e luce solare.

La ricerca è condotta dalla università cinese Shanghai Jiao Tong University, e promette di sviluppare un dispositivo in grado di raddoppiare la produzione di idrogeno rispetto a quelli attualmente disponibili. Per realizzarlo, i ricercatori, coordinati dal Prof. Tongxiang Fan, hanno preso a modello due specie di farfalle dalle ali prevalentemente nere, la Troides Aeacus e la Papilio Helenus Linnaeus, conosciuta anche come Red Helen. È noto che la produzione di idrogeno gassoso a partire dalla luce solare e dall’acqua è possibile attraverso dispositivi con proprietà fotocatalitiche, i quali utilizzano la luce per attivare materiali catalizzatori in grado di scindere l’acqua in idrogeno e ossigeno. La chiave per rendere questa tecnologia più applicabile, secondo il team di Fan, è lo sviluppo di collettori solari in grado di immagazzinare energia e mantenere stabili le caratteristiche termodinamiche del processo fotocatalitico. L’idea di ispirarsi alle ali nere della farfalla nasce proprio dall’osservazione della loro funzione di collettore solare naturale: è proprio grazie alle ali, infatti, che le farfalle che riescono a sopravvivere anche quando fa freddo, dato che esse non possono generare abbastanza calore dal loro metabolismo.

 

Studiando nei dettagli le piccole scaglie presenti sulle ali nere delle farfalle, i ricercatori della Shanghai Jiao Tong University hanno sviluppato collettori solari che raccolgono l’energia solare da utilizzare successivamente nella fotocatalisi. L’architettura delle scaglie, rilevata al microscopio elettronico, mostra come queste siano disposte sulle ali in modo simile alle tegole sul tetto di una casa. In pratica, le micro-scaglie formano dei rilievi e presentano dei fori molto piccoli su entrambi i lati, con un’apertura sullo strato sottostante. La presenza di questi rilievi, secondo i ricercatori, ha un duplice effetto: permette alla luce diretta, caratterizzata da basse lunghezze d’onda, di incanalarsi nei fori e raggiungere gli strati sottostanti, ma consente anche di sfruttare le componenti della luce caratterizzate da lunghezze d’onda maggiori, le quali possono essere assorbite dalle pareti a tunnel presenti nelle micro-scaglie. Per imitare al meglio queste strutture, i ricercatori hanno pensato di utilizzare il biossido di titanio, uno dei materiali fotocatalitici più noti. I dispositivi realizzati contengono biossido di titanio e nanoparticelle di platino, e possono funzionare sia come collettori solari che come fotocatalizzatori. In questo modo, secondo il team guidato da Fan, è teoricamente possibile raddoppiare la produzione di idrogeno rispetto ai comuni dispositivi.

 

Il gruppo di ricerca sta attualmente concentrando i propri studi sulle diverse architetture gerarchiche presenti in natura, in modo da trarne fonte di ispirazione per lo sviluppo di nuove nanostrutture fotocatalitiche.

Spazio in collaborazione con Crit-Research

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