L’impegno delle imprese per il clima può fare la differenza

di Alessandra Bailo Modesti

La crisi climatica è una sfida al modello di consumo attuale, una sfida al modello dell’economia, una sfida al coraggio dei nostri governi, quando la storia presenta il conto, a rispondere con la forza e la saggezza necessari.

di Alessandra Bailo Modesti

La crisi climatica è una sfida al modello di consumo attuale, una sfida al modello dell’economia, una sfida al coraggio dei nostri governi, quando la storia presenta il conto, a rispondere con la forza e la saggezza necessari.

Un numero sempre maggiore diimprese e la società civile più ampia stanno affrontando tale sfida con capacità e innovazione e chiede ai governi di sostenere il passaggio ad un’economia a basse emissioni.

La transizione verso una green economy è in attoe proseguirà. La scelta sta nel decidere se investire per accelerare e favorire questa transizione e coglierne i frutti ilprima possibile, per l’intera umanità, oppure nello scoraggiarla per tutelare gli interessi dell’attuale, ingrigito, sistema economico.

La COP 21, i cui lavori sono in corso a Parigi, rappresenta uno spartiacque decisivo. Ad oggi, tra i principali protagonisti delle trattative troviamo le imprese, il mondo privato. Recentemente, 78 imprese multinazionali – che da sole fatturano ben 2,1 trilioni di dollari – hanno sottoscritto una lettera aperta,promossa dal World Economic Forum,alle nazioni riunite alla COP 21, in cui chiedono impegni forti e condizioni abilitanti ai governi e si impegnano ad adottare al proprio internole iniziative necessarie a ridurre le emissioni climalteranti e ad attivare sistemi di carbon pricing per attribuire un giusto prezzo al carbonio.

Le imprese che sostengonola transizione ad un’economia a basso contenuto di carbonio, pur non essendo ancora maggioranza, non rappresentano più una componente minoritaria del mondo economico, perché oggi l’ambiente è la chiave per qualificare la propria attività di business e migliorare la competitività sia nei settori economici più maturi (che hanno sete di novità e innovazione) sia in quelli emergenti dove è necessaria una visione di lungo termine e modelli di business ad alto contenuto eco-innovativo.

Perché la green economy diventi mainstream è però necessario avviare una transizione anche dei settori più inquinanti che ancora oggi forniscono risposte inadeguate e arrivano impreparati all’appuntamento con l’Accordo globale sul clima, incapaci di immaginare una riorganizzazione delle proprie attività in chiave green o semplicemente di accettare l’evidenza che il modello di business che stanno seguendo non sarà utile in un mondo a basse emissioni di carbonio, verso il quale dovremo necessariamente avviarci se vogliamo assicurare le condizioni di una vita prospera al genere umano.

Le imprese che hanno compreso le opportunità della green economy chiedono ai governi di lavorare spalla a spalla per forgiare il modello economico del futuro dove l’ecoinnovazione e la ricerca permettano di impiegare i materiali in maniera sempre più efficiente, dove l’intelligenza dei sistemi naturali stimoli un’ampia circolarità delle risorse, un uso più efficiente delle stesse e maggiori risparmi per l’economia globale con una riduzione significativa degli impatti ambientali e delle minacce al capitale naturale.

Anche in Italia, oltre 200 imprese di varie dimensioni (tra cui ERG Renew, Carlsberg, Poste Italiane, Terna, Gse, Barilla, BioChemtex, Ferrovie dello Stato, Novamont, Philips Italia, Unilever Italia e L’Oréal Italia) hanno aderito ad un appello per un accordo sul clima adeguato e ambizioso, promosso dal Consiglio Nazionale della Green Economy, composto da 64 organizzazioni di imprese, che chiededi rafforzare le misure nazionali di mitigazione e adattamento edi adottaretarget legalmente vincolanti, ripartiti tra gli Stati secondo criteri di equità e in grado di limitare l’innalzamento della temperatura al di sotto della “soglia di sicurezza” dei 2°C attraverso la promozione dell’ecoinnovazione, dell’efficienza energetica, delle fonti rinnovabili, di una mobilità sostenibile, di un modello di agricoltura green.

In particolare, le imprese italiane, chiedono che sia promossa una seria riforma fiscale che, tramite forme di carbon taxa gettito invariato associate a sistemi di carbon pricing, sia in grado di attribuire i giusti costi alla CO2, alleggerendo al tempo stesso la pressione fiscale su lavoro e imprese ed eliminando i sussidi dannosi per l’ambiente che a livello mondiale valgono ben 510 miliardi di sussidi alle fonti fossili che è possibile riallocare, invece, in chiave green.

In un’analisi effettuata da“Corporate Knights”, che ha esaminato 14 tra i maggiori fondi di investimento con 1 trilione di dollari in asset, si riscontra che oltre 22 miliardi di dollari sono andati persi come risultato del non essere passati, nei tre anni precedenti, dagli investimenti in fonti fossili a quelli in energie rinnovabili.Investire in green economy conviene e, oltre a tutelare la salute del pianeta, favorisce la crescita economica e si dimostra più efficace nel perseguire un migliore e maggiore benessere.

Le imprese, per le caratteristiche peculiari della loro attività, tastano il polso alla società e intercettano gli orientamenti culturali molto velocemente, si riorganizzano per rispondere ai rischi materiali che la perdita di capitale naturale e biodiversità esercitano sul loro business, innovano i prodotti e i processi produttivi per rispondere ai mutamenti del mercato, dei costumi sociali. Esse hanno colto il movimento silenzioso che si sposta verso il green e hanno inteso che è necessario agire per fermare le conseguenze più disastrose del cambiamento climatico.

Questa è la prima novità del Summit di Parigi: il nuovo attivismo della componente più avanzata del mondo delle imprese, il loro ritrovato protagonismo nel partecipare attivamente alla definizione di impegni che orientino il sistema economico verso attività a basso contenuto di carbonio ed efficienti nell’uso delle risorse. La risposta alla crisi climatica attraverso lo sviluppo di una green economy,e il cambiamento degli stili di vita che ne conseguono, potranno anche meglio far fronte alla vasta e diffusa povertàe ai conflitti sempre più pervasivi per il controllo delle risorse (siano esse petrolio o acqua) con risposte di lungo termine, con la volontà di riconoscere la giusta aspirazione di tutti i popoli della Terra ad un sviluppo socioeconomico dignitoso, ad una maggiore giustizia ambientale. La minaccia terroristica, il flusso enorme di migranti, l’aggravarsi delle condizioni climatiche non lasciano spazio a tentennamenti ma impongono di agire ora, economia e politica insieme, per rimediare alle distorsioni, in primo luogo etiche, causatedall’attuale modello economico.

Migliaia di imprese, con la consegna dei propri impegni alla piattaforma NAZCA delle Nazioni Unite, dimostrano oggi l’intelligenza di intuire in quale direzione punti la via che ci condurrà fuori dal pantano e che, soprattutto, ci offre l’occasione di costruire una civiltà migliore.Proprio a Parigi la civiltà occidentale, principale responsabile dell’attuale modello di sviluppo, ha subito un colpoferoce fin nelle fondamenta dei suoi diritti alla libertà e all’autodeterminazione. Da quella stessa Parigi può arrivare una risposta di civiltà, che cominci a costruire le fondamenta di un progetto politicoglobale all’altezza della sfida che i tempi impongono.

Facebooktwitterlinkedinmail