Crisi ambientale e crisi finanziaria: facce della stessa medaglia

Il denaro governa il mondo, ma chi governa il denaro?

di Silvia Zamboni

 E’ attorno a questa domanda (che fungeva da titolo dell’incontro) che si sono dipanati gli interventi di esperti e pubblico dell’edizione 2010 dei Colloqui di Dobbiaco (1-2 ottobre), ideati da Wolfgang Sachs, del Wuppertal Institut.

 

Conoscere, capire, per cambiare, trovando risposta ad un’altra domanda implicita: quali le alternative, i contrappesi al governo attuale del denaro visti gli esiti drammatici – leggi la crisi mondiale – che ha prodotto? Una crisi sistemica che “poggia su tre gambe”, come ha sintetizzato Tonino Perna, professore di sociologia economica all’Università di Messina: quella ambientale dei cambiamenti climatici, quella finanziaria del crack delle banche, e quella economica-occupazionale. Per l’occidente, l’area più colpita dalla crisi, questa crisi ha coinciso anche “con una crisi di senso, una ricerca di nuovi orizzonti, dato che il modello della crescita infinita, dei consumi iperbolici, è arrivato al capolinea”. L’intreccio tra crisi ambientale e finanziaria è stato plasticamente reso con la proiezione del filmato “Let’s make money”, del 2008 (visibile su Youtube).

Siamo investitori, il nostro compito è aumentare il valore del denaro che ci affidano. Chi fa investimenti non è responsabile di ambiente ed etica”, vi afferma un imperturbabile Mark Moebius, il finanziere investitore accreditato di gestire 50 miliardi di dollari. “Investendo nei mercati emergenti sosteniamo i fondi pensione occidentali. A Singapore paghiamo poche tasse, le tasse le pagano i dipendenti”. Quella Singapore, aggiunge Mirko Kovatsch, altro imprenditore-investitore internazionale che va per la maggiore, “dove la gente si arrangia, e non si aspetta niente dallo Stato”.

 

 

A rafforzare il binomio speculazione-distruzione dell’ambiente, le immagini di un ecomostro costruito sulla costa spagnola, in Almeria: oltre 500 appartamenti, tutti venduti, ma anche tutti inabitati. Con la minaccia pendente, come afferma un promotore locale, che se ne edifichino altri. Per chi? “Tra il 1982 e il 1997 si sono registrate all’incirca un centinaio di crisi economiche e finanziarie, più o meno circoscritte geograficamente”, ha esordito Helge Peukert, professore di Scienze delle Finanze presso l’Università di Erfurt, “ma nessuna autorità ha ritenuto opportuno riformare il settore finanziario, fino al crack del 2007, scoppiato negli Usa , il tempio della finanza mondiale, e poi propagatosi al mondo intero, assumendo la medesima dimensione planetaria della crisi ecologica numero uno, ossia quella dei cambiamenti climatici”. Un fallimento, secondo Peukert, che è stato il fallimento di quel concetto neoliberista secondo cui i mercati finanziari efficienti possono contribuire al bene comune solo se sono affidati all’autocontrollo e sono sottratti all’ingerenza di regole pubbliche. Con il finale paradossale di aver invocato, di fronte al baratro, l’intervento dei governi centrali per salvare le banche dal crack. Un salvataggio fatto a spese dell’indebitamento degli Stati, con il cittadino contribuente ingiustamente nei panni di “vittima sacrificale”. La cifra messa in campo da tutti i governi per salvare la finanza da settembre 2008 a settembre 2009 è stata pari a 13.600 miliardi di dollari, secondo le stime del Fondo Monetario mondiale riferite da Ugo Biggeri, Presidente di Banca popolare etica, (35mila soci in tutt’Italia, sul sito pubblica in maniera trasparente finanziamenti e tipologia degli stessi). La massa di denaro impiegata nel salvataggio delle banche d’affari, ha commentato Biggeri, è stata da 20 a 30 volte superiore a quanto gli Stati membri dell’Onu si erano impegnati a spendere per raggiungere gli otto obiettivi del programma Millennium (sradicare povertà e fame estreme, rendere universale l’istruzione primaria, promuovere la parità di genere e l’empowerment delle donne, ridurre la mortalità infantile, migliorare la salute materna, combattere aids, malaria e altre malattie, assicurare la sostenibilità ambientale, sviluppare una partnership globale per lo sviluppo).

 

Secondo stime della World Bank, si tratterebbe di investire 40-60 milioni di dollari all’anno per dieci anni; soldi che, al contrario, non sono stati trovati. E’ possibile un’alternativa a questa “finanza in caduta libera”, secondo la definizione del premio Nobel per l’economia Joseph Stiglitz – “Ci vuole un nuovo sistema monetario basato sulla moneta al 100% reale. E bisogna procedere a una riconversione radicale del sistema finanziario e al ridimensionamento–smembramento delle grandi banche”, ha proposto Peukert. “Va stabilito che il loro bilancio non possa superare i 100 miliardi di euro, al fine di evitare lo sviluppo di banche a rischio sistemico, vere e proprie organizzazioni parallele di controllo degli Stati senza legittimazione democratica”. In Germania, ha riferito, la Deutsche Bank ha un bilancio di circa 2 bilioni di euro, corrispondente a quasi l’intero pil del paese. E vanno separate le banche convenzionali dalle banche d’investimento. Per limitare le transazioni speculative, ha proseguito, si deve introdurre una tassa sulle transazioni finanziarie (la nota Tobin tax) con un’aliquota tra lo 0,01 e lo 0,1%, e responsabilizzare dirigenti e società.

D’accordo, ma chi sono i soggetti che possono e devono imporre questa riforma del sistema bancario, gli è stato chiesto dal pubblico?

Domanda a cui al momento è difficile rispondere in maniera easuriente, ha ammesso Peukert. Si valuta che il volume delle transazioni finanziarie superi dalle 14 alle 75 volte il Pil mondiale. Mentre l’intreccio tra finanziarie internazionali e fondi pensione è una sorta di indicatore di come, consapevolmente o meno, si possa essere partecipi, “complici”, del vortice speculativo mondiale. L’innovazione etica della finanza per opera degli utenti dei servizi bancari passa dall’introduzione del concetto di Slow money, ha suggerito Biggeri. Un concetto, quello di slow money, che si oppone alla odierna finanza fast (che è globale, non responsabile, ispirata alla crescita insostenibile, non tassata) e, al contrario di quest’ultima, richiama l’idea del limite, il senso delle azioni economiche, una valuta capace di creare e favorire le reti di chi ha cuore il bene comune. Tradotto in termini concreti, lo slow money è legato idealmente al circuito internazionale di quelle banche che le domande sul senso del proprio agire finanziario ed economico se le pongono, che ai propri clienti assicurano trasparenza e investono nel rispetto dell’ambiente. Oggi il circuito internazionale della finanza etica non è più una realtà di nicchia, e presenta realtà consolidate a livello internazionale. Mentre la Commissione Europea ha indicato la Banca Etica italiana come migliore buona pratica. Un’altra alternativa, illustrata da Claudia Apel (della Fondazione Culturale Responsabilità Etica Onlus) è l’azionariato militante, praticato in maniera organizzata da chi vuole vedere cosa si nasconda dietro ai bilanci delle multinazionali e delle grandi imprese. A questo scopo, si acquistano azioni (è sufficiente un numero minimo) per avere il diritto di acceso alle informazioni e di partecipazione alle assemblea dei soci. L’azionariato critico attivo è un’opportunità concreta per esercitare pressioni continue sulle grandi imprese quotate in borsa. Una partecipazione informata: per intervenire in modo efficace e raccogliere consensi tra gli azionisti bisogna esser preparati, porre quesiti precisi, documentati, ed evidenziare che certe scelte sono dannose dal punto di vista dei bilanci e quindi della remunerazione del capitale investito e dei dividendi. In questo campo negli Usa da 35 anni opera l’ICCR (Interfaith Center on Corporate Responsibility), un’organizzazione di 275 investitori di ispirazione religiosa che ogni anno si presenta alle assemblee dei soci di circa 200 multinazionali e presenta proprie mozioni.

In questi anni ICCR è riuscita a far discutere mozioni sul rispetto dei diritti umani in Cina, sui cambiamenti climatici, sulla trasparenza del sistema bancario, sugli investimenti nel mercato delle armi. Riuscendo a volte a ottenere la maggioranza, altre solo il 5-10 % dei voti di assemblea. In Svizzera è stata Ethos ad essere incaricata di esercitare il diritto di voto e di informazione a nome di 90 fondi pensione. In Italia la Fondazione Culturale Responsabilità Etica ha acquistato un pacchetto di azioni di enel e eni, scelte perchè sono le imprese italiane che producono il maggior impatto sui paesi del sud del mondo. A eni è stato chiesto come intenda ridurre i danni del cosiddetto gas flaring in Nigeria, alla foce del Niger, dove ci sono più di 20 siti estrattivi con gas bruciati in torcia, la cui combustione produce inquinamento atmosferico ed è ritenuta all’origine di gravi patologie che colpiscono soprattutto i bambini. L’enel, invece, è stata chiamata a illustrare nei dettagli il megaprogetto della costruzione di una diga sui fiumi River e Pascua in Patagonia, che ha enormi ripercussioni sull’ambiente. In entrambi i casi la Fondazione è riuscita a coinvolgere gruppi di popolazione locale e a rappresentarne gli interessi. Arrivando a far partecipare all’assemblea anche il vescovo della Patagonia, il che ha spinto il direttore generale di enel a intervenire per accelerare i tempi della valutazione d’impatto ambientale della diga.

Nel puzzle delle alternative alla finanza convenzionale proposte nel corso dei Colloqui non è mancato il tassello delle monete locali, “il denaro che viene dal basso”. Dopo l’introduzione dell’euro, ha riferito Ralph Becker dell’associazione Regiogeld di Diemelstadt. in Germania sono nate oltre 70 valute locali, complementari alla valuta europea, e non finalizzate a soppiantarla, bensì ad affiancarla per rafforzare le economie locali. In Giappone queste valute locali sono più di 200. Furono introdotte dal governo nipponico alla fine degli anni 90 a titolo sperimentale, come via di uscita dalla lunga deflazione e dalla conseguente crisi finanziaria ed economica. Ne circola una anche in Italia, presso la comunità di Damanhur, in val Chiusella, a 45 chilometri da Torino. Si chiama creditpo. Avendo diffusione limitata, la moneta locale promuove il consumo di prodotti del territorio.

 

Infine, le ecotasse, ovvero la riforma del fisco in chiave ecologica e sociale. Ne ha parlato Damian Ludewig, del Forum Oekologisch-Soziale Marktwirtschaft (forum per un’economia di mercato ecologico-sociale). Rispetto all’aumento delle aliquote IVA e dei contributi previdenziali, o ai tagli della spesa sociale – è la tesi di fondo – la fiscalità ecologica ha effetti migliori sull’ambiente ed è anche socialmente ed economicamente più sostenibile. Per compiere un passo concreto verso un’economia più sostenibile ed ecologica, la spesa pubblica non va più finanziata con le imposte sul lavoro, ma tassando in modo mirato il consumo delle risorse energetiche ed ambientali.

 

Articolo pubblicato anche nel numero di dicembre della rivista Micron

(Arpa Umbria 2010)

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