La partita delle rinnovabili e il futuro energetico dell’Italia

A cura di Andrea Barbabella

La crescita delle fonti rinnovabili è un pilastro della strategia globale per la lotta al cambiamento climatico.

Per l’Italia questa si traduce in obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra con orizzonte al 2020 (ETS e non ETS), condivisi in sede europea nell’ambito del noto Pacchetto Clima-Energia o Strategia 2020.

Questi obiettivi, da considerarsi ormai a breve termine, non esauriscono il ruolo del nostro paese nella lotta al cambiamento climatico, ma rappresentano anzi il primo passo verso una progressiva decarbonizzazione dell’economia nazionale everso un sistema di produzione di energia elettrica a emissioni zero, o quasi, entro il 2050. Declinando a livello nazionale l’impegno indicato dalla Roadmap europea per una economia a basse emissioni, un rapporto di prossima pubblicazione a cura della Fondazione per lo sviluppo sostenibile valuta che le emissioni italiane di gas serra dovranno essere più basse di 35-50 Mt al 2020 e di 90-120 Mt al 2030 rispetto ai valori attuali. Naturalmente tutti i settori dovranno contribuire in modo equilibrato al conseguimento di questi obiettivi, dalle rinnovabili termiche all’efficienza e al risparmio energetico, oltre che ovviamente le rinnovabili elettriche.

 

Questo è il quadro all’interno del quale dovrebbe essere contestualizzato qualsiasi realistico ragionamento in materia di energia. Tuttavia ciò non sembra valere per l’attuale dibattito sugli incentivi allefonti rinnovabili, dibattito troppo spesso ridotto a uno scontro ideologico tra opposte fazioni ovvero a un esercizio di pura contabilità economica. È necessario promuovere le rinnovabili in primo luogo perché queste sono un fattore decisivo nella strategia di lotta al cambiamento climatico e di sostenibilità del sistema energetico (leggasi economicità, sicurezza e riduzione della dipendenza dai combustibili fossili) europeo e nazionale: la domanda sarà soddisfatta sempre più da tecnologie a emissioni zero a scapito della produzione tradizionale termoelettrica, il cui contributo non potrà che ridursi con il trascorrere degli anni, come per altro già accade. E naturalmente la strategia energetica nazionale deve essere inquadrata all’interno di una strategia più complessiva di rilancio dell’economia nazionale, ma anche mondiale, attraverso quella Green Economy che sarà al centro del prossimo Summit dell’ONU in programma a Rio de Janeiro.

 

Tutto ciò ovviamente non ci esonera dal porre la massima attenzione sull’efficienza degli incentivi. E questo anche riconoscendo, come è stato fatto da più parti, gli errori del passato recente, a cominciare dal c.d. salva Alcoa che ha lasciato spazio a iniziative al limite della speculazione. Ma non andrebbe neppure dimenticato che, se è vero che oggi ci troviamo a pagare in bolletta circa 9 miliardi di incentivi alla produzione elettrica da fonti rinnovabili del 2011, con un aumento di circa 6 miliardi rispetto al 2010 e per 10 TWh di produzione rinnovabile in più, sempre nel 2011 la fattura italiana per l’approvvigionamento dei combustibili fossili ha superato i 58 miliardi di euro, con un aumento di 8,3Mld euro rispetto al 2010, e questo nonostante un calo in valore assoluto dei consumi fossili compreso tra il 2 e il 3% (dati Unione Petrolifera). Come diversi osservatori hanno già fatto notare, la causa dei prezzi elevati dell’energia in Italia rispetto agli altri partner europei va in primo luogo ricercata proprio nel livello eccezionalmente alto di dipendenza dai combustibili fossili. E a questo si aggiunge una struttura impiantistica quanto meno inefficiente, con una overcapacity oramai strutturale che costringe le centrali termoelettriche a lavorare in media meno di 3 mila ore/anno, la metà di quanto previsto in fase di progettazione: è difficile pensare che questo non abbia dei costi aggiuntivi che inevitabilmente si ripercuotono sul prezzo finale dell’energia e, quindi, sulla bolletta.

 

Come è stato sottolineato dal Ministro dell’ambiente Corrado Clini, un confronto tra i vari costi che incidono sui bilanci delle famiglie italiane e dello stato, nel caso specifico dell’incentivazione alle fonti rinnovabilinon può prescindere dalla contabilizzazione dei benefici, oltre che dei costi. E così facendo l’investimento sulle rinnovabili potrebbe anche diventare positivo, sempre in termini strettamente economici, come riportato dallo studio presentato dall’Osservatorio internazionale sull’industria e la finanza delle rinnovabili: secondo l’analisi costi-benefici, lo sviluppo delle rinnovabili elettriche in Italia garantirebbe, tra il 2008 e il 2030, un guadagno netto per il sistema paese di 76 miliardi di euro. Questo beneficio non è distribuito in modo uniforme lungo tutto il periodo analizzato, e per questo lo studio presenta anche i risultati di un bilancio parziale per il solo triennio 2008-2011, il meno favorevole: a fronte di 106,5 miliardi € di costi (in cui gli incentivi pesano perl’84%), lo studio stima 103,5 miliardi € di benefici, con un costo netto quindi per il sistema paesi di circa tre miliardi di euro, molto lontano dai numeri sentiti in questi giorni. Colpisce anche che, a fronte dei 5,7 miliardi di euro/anno necessari per incentivare gli attuali 13 mila MW di fotovoltaico, per arrivare a 30 mila MW nel 2020, grazie a un sistema di incentivi più efficiente e alla riduzione dei costi delle tecnologie, saranno necessari “solamente” altri 1,4 miliardi di euro.

 

Ma anche questo esercizio di contabilità, seppure allargata e corretta, è a mio avviso ancora troppo riduttivo per contribuire a risolvere il “dilemma” dell’incentivazione delle fonti rinnovabili. È necessario riconoscere che la posta in gioco è molto più alta di quanto sembri. Siamo proprio nel mezzo di una transizione, e dalla decisione di supportare o meno le rinnovabili dipenderà la nostra capacità di governare questo processo, ovvero di subirlo. Gli incentivi oggi sono necessari per sostenere lo sviluppo tecnologico e il consolidamento di quel tessuto imprenditoriale e produttivo legato alle rinnovabili che da oggi in poi avrà il compito di soddisfare ogni domanda aggiuntiva di energia elettrica, mentre la produzione termoelettrica si avvierà inesorabilmente lungo la strada di un progressivo décalage.

E questa svolta epocale, permettetemi di ribadire, non può essere lasciata alla mercé di un dibattito tra ragionieri.

 

Quale sarà il futuro della produzione energetica in Italia e nel mondo? Quali saranno le dinamiche del consumo e il ruolo dell’efficienza e del risparmio? Come ci sposteremo nelle nostre città? E quali saranno le nuove tecnologie che si affermeranno nei prossimi anni? Un Governo che si appresta a varare una Strategia energetica nazionale non può eludere queste domande. Ma francamente, a oggi, mi pare si faccia ancora molta fatica a coglierne le risposte.

Facebooktwitterlinkedinmail