Il carico di illusioni sul rialzo del Pil ostacola la crescita di una green economy

di Edo Ronchi 

dal blog HuffingtonPost

Nel secondo trimestre del 2017, secondo i dati Istat, il Pil italiano è aumentato dello 0,4% rispetto al trimestre precedente, dell’1,5% rispetto allo stesso trimestre di un anno fa.

“Meglio delle previsioni, una buona base per rilanciare economia e posti di lavoro” scrive su Twitter il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni. Nonostante la critica, espressa da molti anni da studiosi e da sedi scientifiche autorevoli, si continua a considerare la crescita del Pil come l’indicatore rappresentativo dello sviluppo economico e del potenziale di aumento dell’occupazione.

Il Pil, come è noto, misura solo il valore degli scambi di beni e servizi valutabili in termini monetari. Molti beni e servizi – come la gran parte di quelli forniti dal capitale naturale e dagli ecosistemi, di quelli relazionali, familiari, culturali e molti altri che non sono monetizzati, anche se hanno grande importanza sia per il nostro benessere, sia per la qualità e la sostenibilità nel tempo dello sviluppo economico – non rientrano nel calcolo del Pil e possono peggiorare quando il Pil cresce.

Quando aumenta l’ammontare monetario del consumo di risorse naturali e di energia – anche in direzione contraria all’aumento dell’efficienza energetica, di quello del riciclo dei rifiuti e della circolarità delle risorse – il Pil cresce. Anche l’idea che con il Pil cresca automaticamente il benessere per tutti è oggi tutta da dimostrare: dati i dislivelli elevatissimi- mai visti in passato- raggiunti nella distribuzione del reddito è possibile- ed è accaduto – che l’intero aumento del Pil sia assorbito solo dalla parte della popolazione con i redditi più elevati.

Il rapido salto avvenuto nello sviluppo dell’informatizzazione e dell’automazione ha aumentato moltissimo la produttività, consentendo di realizzare aumenti consistente dei volumi e del valore monetario delle produzioni di beni e servizi con meno occupati. Per non parlare del peso elevato raggiunto nella composizione del Pil dalle rendite, derivate in particolare dalla crescita delle attività finanziarie a bassa occupazione.

Ma -si obietta- il Pil negativo, la recessione o la decrescita, porterebbero risultati, sociali e occupazionali, peggiori. Questo non significa che non vi siano alternative migliori alla crescita illimitata del Pil, senza altra qualificazione e a ogni costo. Sappiamo invece che ve ne sono molte, analizzate e proposte anche autorevolmente, che in genere partono dall’analisi del sistema di misurazione della crescita del Pil quale aspetto rilevante della scelta di un tipo di economia che ha avuto successo perché ha prodotto risultati importanti, ma che ormai è diventata ecologicamente -a partire dal clima- insostenibile e, a ben vedere, anche socialmente incapace di generare un benessere di migliore qualità ed esteso a tutti, in un mondo che ormai supera i 7 miliardi di abitanti.

Ed è la scelta ancora prevalente di questo tipo di economia che frena l’utilizzo delle grandi potenzialità raggiunte dalla conoscenza per sviluppare una green economy, necessaria per migliorare il benessere, per renderlo esteso e inclusivo, abbattendo le emissioni di carbonio che stanno drammaticamente alterando il clima, conservando e non distruggendo il capitale naturale e i servizi eco-sistemici.


Articolo originale pubblicato su Huffington Post Blog in data 01/09/2017
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