Come realizzare la svolta climatica senza dipendere dalle COP

di Edo Ronchi

dal blog HuffingtonPost

Il 2019 si sta chiudendo sulla scia della delusione della COP 25 di Madrid sul clima. Ma come è possibile che dopo tante manifestazioni, soprattutto dei giovani, dopo l’attenzione finalmente dedicata dai media, dopo l’evidente aggravamento degli effetti generati dalla crisi climatica, la trattativa internazionale non faccia passi avanti concreti?

Le Conferenze annuali dell’ONU sul cambiamento climatico, le COP, sono di complessa conduzione tecnica e richiedono una grande capacità di gestione anche politica. Nella COP di Madrid queste condizioni erano al minimo: il governo cileno, alla vigilia della Conferenza, ha dovuto, per i noti problemi interni, rinunciare a ospitarla e quello di Madrid è generosamente subentrato all’ultimo momento.

Questa COP è stata, inoltre, caricata da aspettative eccessive. Il nodo all’ordine del giorno era complesso, ma limitato e circoscritto: quello della regolazione internazionale dei crediti di carbonio. Questo nodo poteva essere affrontato meglio, facendo qualche passo avanti concreto, ma, a mio parere, era molto difficile risolverlo ora.

Siccome gli impegni di riduzione dei gas serra presi dai Paesi vanno ridiscussi perché sono inadeguati a stabilizzare l’aumento delle temperature al di sotto dei 2°C, pare difficile arrivare ora a una regolazione condivisa della gestione dei crediti di carbonio che a quegli impegni sono connessi.

Le COP sono un momento di confronto e di collaborazione internazionale. Possono essere utili, se ben gestite. Non è però più possibile affidare la non più rinviabile svolta nelle politiche climatiche solo alle COP che, per deliberare, richiedono l’unanimità o, almeno, un consenso molto ampio, molto difficile da raggiungere.

Gli impatti della crisi climatica sono, infatti, ripartititi in modo diseguale fra i diversi Paesi; la capacità di resilienza dei Paesi è molto diversa; il peso economico dei combustibili fossili e degli interessi finanziari e industriali connessi con i fossili sono distribuiti in modo molto diverso e sono molto più consistenti in alcuni Paesi; vi sono, per varie ragioni, settori sociali meno sensibili rispetto alle tematiche climatiche e governi non lungimiranti che frenano che si oppongono ad accordi impegnativi per il clima.

Aspettare l’Accordo internazionale con questi governi per muoversi significa rendere determinante la loro posizione e, nei fatti, rassegnarsi a subire il rapido aggravamento in corso della crisi climatica. Così come, sapendo che vi sono diversi Paesi governati da dittature, non affidiamo certo il destino della libertà e della democrazia a un accordo anche con loro, non possiamo più restare fermi in attesa di governi fortemente legati agli interessi dei combustibili fossili.

Sarebbe meglio e più efficace muoversi tutti insieme e nella stessa direzione, in particolare insieme agli Stati Uniti e alla Cina. Ma se questi non si muovono, o frenano, non possiamo più stare fermi, accettando esiti  disastrosi della crisi climatica.

Oggi – e questa è una novità che cambia i termini di questa discussione – disponiamo di conoscenze, di tecnologie e di capacità, migliorabili in pochi decenni, per decarbonizzare l’economia senza dover sostenere costi eccessivi.  Contrastando così l’aggravamento e l’accelerazione della crisi climatica e  spingendo, invece di essere frenati, anche i Paesi disimpegnati a inseguire e adeguarsi, dimostrando che un’economia decarbonizzata può essere competitiva, può generare oltre a benefici ambientali, anche nuove possibilità di sviluppo e maggiore occupazione. In questa direzione si stanno muovendo i 58 Paesi che, in sede di Nazioni Unite, hanno costituito l’Alleanza dei Paesi ambiziosi per il clima.

In questa direzione ha ripreso a muoversi la nuova Commissione europea che, in sintonia con gli indirizzi espressi dal nuovo Parlamento europeo e con il recente assenso – nonostante l’opposizione della Polonia – del Consiglio, punta alla neutralità carbonica entro il 2050 e ad aumentare il proprio impegno di riduzione dei gas serra dal 40% al 50-55% entro il 2030, puntando su un Green Deal.

E l’Italia che fa? Negli ultimi 5 anni non ha ridotto le proprie emissioni di gas serra e, per ora, mantiene un Piano energia e clima  che prevede una riduzione solo del 37% delle emissioni entro il 2030, fortemente inadeguato a fronte dei recenti citati nuovi indirizzi europei.

La nuova Legge di Bilancio per il 2020 ha avviato alcune misure di Green Deal molto limitate, anche se vanno nella giusta direzione. Lo stesso si può dire del recente decreto clima che contiene misure in grado di generare riduzioni molto basse delle emissioni di gas serra  del Paese.

Il governo tedesco ha, invece, recentemente stabilito di non consentire più emissioni gratuite di gas serra con l’introduzione di una carbon tax di 25 euro a tonnellata di CO2 dal 2021 che diventeranno 55 euro dal 2025, utilizzando i consistenti maggiori introiti per misure green e per compensazioni sociali.

 


Articolo originale pubblicato su Huffington Post Blog in data 20/12/2019
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