IEA: crollo delle emissioni globali di CO2 nel 2020, ma il rebound è già iniziato

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A causa della pandemia da Covid-19, le emissioni mondiali di CO2 nel 2020 sono diminuite del 5,8% rispetto all’anno precedente: la riduzione percentuale annua più alta dalla seconda guerra mondiale e, in valore assoluto, con quasi 2 miliardi di tonnellate di CO2 in meno, è il crollo più forte mai registrato in un solo anno .

Nella seconda parte del 2020 però, con l’allentamento delle misure restrittive, la riduzione delle emissioni globali si è ridotta e la Cina è la principale responsabile di questa dinamica.

A confermarlo è la IEA, l’Agenzia internazionale dell’energia, che ha reso noti i primi dati sui consumi energetici e le relative emissioni di CO2 nel mondo attraverso l’articolo “Global Energy Review: CO2 Emissions in 2020”. Fin dai primi mesi della pandemia da Covid-19, l’Agenzia ha portato avanti una attività di monitoraggio dei dati di settore nelle diverse aree geografiche, mese per mese.

Secondo la IEA, le emissioni di CO2 da usi energetici nel 2020 si sono ridotte fino a 31,5 GtCO2, raggiungendo gli stessi livelli di dieci anni fa. La riduzione complessiva è da ricondursi per oltre la metà (-1,2 GtCO2) al crollo della domanda di prodotti petroliferi connesso alla riduzione della domanda di mobilità, soprattutto del trasporto su strada e del trasporto aereo.

Il secondo contributo alla riduzione delle emissioni (-0,6 GtCO2) deriva dal minor ricorso al carbone per la generazione elettrica mentre la domanda di gas ha subito nel complesso una riduzione più contenuta, e dunque ha avuto un contributo marginale nel crollo delle emissioni (-0,2 GtCO2).

Sebbene il forte arresto delle emissioni possa sembrare una buona notizia, purtroppo la fotografia della IEA non fornisce dati rassicuranti per la crisi climatica: già nella seconda metà del 2020, con l’allentamento delle misure restrittive, la riduzione delle emissioni globali rispetto allo stesso periodo del 2019 è andata riducendosi, fino ad arrivare a dicembre 2020, mese in cui le emissioni hanno persino superato i livelli del 2019 del 2% su base mensile.

Si tratta del cd. “effetto rebound”, il cui rischio era stato segnalato da Italy for Climate nel Dossier sugli impatti del lockdown in Italia: le crisi economiche causano solitamente una riduzione delle emissioni, ma in corrispondenza di una ripresa economica, anche lieve, in assenza di adeguate misure di ripresa compatibili con la crisi climatica, le emissioni subiscono un “effetto rimbalzo” e tornano a crescere, talvolta anche più di prima.

Il rapporto della IEA registra una distribuzione delle cause e degli effetti molto diversificata fra le diverse aree del mondo. E’la Cina la principale responsabile degli attuali trend negativi sulle emissioni, complice anche il fatto che per prima – e più stabilmente – ha allentato le misure restrittive e puntato sul rilancio massiccio dell’uso del carbone. Dal mese di aprile, infatti, le emissioni si sono attestate sempre in crescita (+5% in media) rispetto ai livelli del 2019.  La Cina è l’unico tra i grandi Paesi emettitori che su base annua nel 2020 registrerà, secondo la IEA, una crescita delle emissioni di CO2 (+0,8%), in piena controtendenza con tutti gli altri principali emettitori che registrano invece una significativa contrazione: in primis USA, Unione Europea e Regno Unito (intorno al 10% di riduzione), ma anche India, Russia, Brasile e Giappone (fra il 5 e l’8% di riduzione).

“Alla base delle enormi emissioni di gas serra della Cina e del loro aumento – afferma il Presidente della Fondazione per lo sviluppo sostenibile in uno dei suoi ultimi editoriali sull’Huffington Postc’è una precisa scelta del governo cinese: quella di puntare in modo massiccio sull’uso del carbone. L’uso del carbone in Cina è la causa del 79% delle sue emissioni di CO2. Nel 2019 la Cina ha consumato 2.864 milioni di tonnellate di carbone, il 53% del carbone consumato nel mondo, con un aumento dell’11,5% di quello che consumava nel 2010. Se non ferma questo trend – continua Edo Ronchi – la Cina viola un accordo internazionale, quello di Parigi per il clima, che pure ha sottoscritto perché con il suo enorme impatto contribuisce, in modo rilevante, a generare effetti globali, in palese contrasto con l’obiettivo, fissato da quel trattato internazionale, di contenere l’aumento delle temperature ben al di sotto dei 2°C”.

 

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