L’alto rischio di puntare sul rilancio di uno status quo ormai insostenibile

di Edo Ronchi

dal blog HuffingtonPost

Da un’analisi delle oltre 300 misure, implementate nello scorso mese di aprile dai Paesi del G20 per far fronte all’impatto della pandemia, risulta che su una spesa prevista di 7,3 mila miliardi di dollari solo il 4% sarebbe classificabile come “green”, con potenziali effetti di riduzione delle emissioni di gas serra, il 4% come “brown”, perché comporta un aumento delle emissioni di gas serra, e il 92% sarebbe “colourless”, senza colore, perché mantiene lo status quo.

L’analisi, appena pubblicata, è stata svolta da 5 autorevoli economisti, fra i quali Nicholas Stern e Joseph Stiglitz, per conto della Università di Oxford e della Smith School of Enterprise and the Environment (Working Paper No. 20/02).

Nel G20 – come non mancano di sottolineare gli autori – ci sono anche i Paesi europei che per le misure adottate nel mese di aprile  non risulta che abbiano dato un  particolare rilievo a scelte “green, benché -aggiungo io- si siano dichiarati, anche recentemente, sostenitori del Green Deal.

Ed è proprio sulle misure “senza colore” che vorrei richiamare maggiore attenzione. Le ragioni dell’emergenza che spingono a fare qualunque cosa per aiutare la ripresa economica sono evidenti e godono di un notevole consenso. Ma sono proprio momenti come questi che richiedono visione, consapevolezza e razionalità.

Come evidenzia l’analisi citata, finanziando in larga prevalenza il ripristino del modello economico precedente, passata la pandemia, si riavvierà anche il trend di aumento delle emissioni di gas serra, destinato in pochi anni a far precipitare la crisi climatica. Assecondando la corrente del ripristino dello status quo, si passerebbe dalla padella della pandemia alla brace della precipitazione della grande crisi climatica.

Se si utilizzano risorse pubbliche, comunque limitate, per finanziare il mantenimento di attività che andrebbero invece cambiate o convertite, si commette un doppio errore: si scaricheranno maggiori costi della crisi climatica sul nostro futuro e si perderà l’occasione per sostenere il cambiamento verso l’economia del futuro che non può che essere green, decarbonizzata e circolare.

Proprio ieri ben 110 esponenti, di primo piano, di importanti imprese e di organizzazioni rappresentative di rilevanti settori economici hanno lanciato pubblicamente un Manifesto per “Uscire dalla pandemia con un nuovo Green Deal per l’Italia” un così vasto e rappresentativo coinvolgimento del mondo delle imprese nel sostenere un Green Deal è una novità di rilievo e un segno dei tempi che stanno cambiando, novità della quale anche i decisori politici dovrebbero tenere maggiormente in conto.

L’Italia ha grandi potenzialità di sviluppo della green economy. In una ricerca presentata agli Stati Generali della green economy, l’Italia risulta essere fra le prime economie green in Europa. Secondo un recente studio comparativo, pubblicato dalla Oxford Martin School insieme alla Smith School of Enterprise, l’Italia, prima della pandemia, era in cima alla classifica mondiale delle “green growthtigers”, (le tigri della crescita economica green), dietro alla sola Germania, ma davanti agli Stati Uniti, all’Austria, alla Danimarca e alla Cina.

Siamo uno dei Paesi che trarrebbe maggiore vantaggio, in termini di crescita, di competitività e di occupazione, dall’implementazione di un Green Deal per l’uscita dalla attuale crisi economica.


Articolo originale pubblicato su Huffington Post Blog in data 08/05/2020
Facebooktwitterlinkedinmail