Le politiche ambientali italiane viste dall’UE

Politiche ambientali UE

La Commissione Europea ha pubblicato il Riesame dell’attuazione delle politiche ambientali 2022. Per ogni Paese membro è stata redatta una relazione specifica che analizza progressi e criticità su quattro aree tematiche: economia circolare e rifiuti; biodiversità e capitale naturale; inquinamento zero; azioni per il clima. Per l’Italia ci sono luci e ombre.

Su alcuni temi continuano a registrarsi ritardi e progressi limitati, come ad esempio la qualità dell’aria, la gestione delle risorse idriche e alcune carenze nella gestione dei rifiuti. In altre aree l’Italia si distingue per alcune best practices, come le politiche in materia di “contabilità ambientale, capitale naturale e indicatori di benessere” e il monitoraggio e la rendicontazione degli impatti ambientali nel bilancio nazionale (bilancio verde). Il tasto dolente comune sono gli investimenti, ancora insufficienti.  Il Cen poi è citato come punto di riferimento per l’Italia anche per l’impegno portato avanti con l’annuale conferenza nazionale sull’economia circolare.

Il settore italiano dei rifiuti – si legge nella relazione – continua a presentare notevoli carenze, soprattutto al Centro e al Sud. Un’importante criticità riguarda la presenza sul territorio delle discariche illegali. Nel marzo del 2019, una sentenza della Corte di giustizia UE ha stabilito che l’Italia non era riuscita a chiudere 44 discariche non conformi alle normative europee. Nell’aprile di quest’anno ne risultavano aperte ancora 12. Ci sono poi alcune regioni in cui il conferimento in discarica si attesta ancora su percentuali molto superiori al 30 % dei rifiuti. E per questo “sono necessari notevoli sforzi da parte di alcune regioni per conseguire l’obiettivo nazionale per il conferimento in discarica, vale a dire il 10 % entro il 2035”. Più in generale “l’efficienza della gestione dei rifiuti a livello nazionale resta una sfida importante per l’Italia”.

I punti di forza e debolezza dell’economia circolare in Italia si conoscono. Il  Paese fa registrare un tasso di utilizzo di materiali (secondari) circolari superiore alla media UE. Si è  passati dal 17,1% nel 2017 al 21,6% nel 2020,  ben oltre la media europea che si attesta al 12,8 (anche se lontani dalle performance migliori, come quella dell’Olanda che supera il 30%). Bene anche la produttività delle risorse con 3,54 euro generati per chilogrammo di materiale consumato nel 2020 rispetto a 2,09 EUR/kg della media dei 27 Paesi membri. Non benissimo invece sull’ecoinnovazione: “Nel 2021 l’Italia si è classificata al 10° posto nel quadro di valutazione dell’ecoinnovazione 2021, con un punteggio totale di 124, dando quindi prova di prestazioni medie”.

Nel periodo 2014-2020, l’Italia ha finanziato le sue politiche ambientali con risorse pari allo 0,48% del PIL annuo. Si tratta di un dato inferiore alla media UE che si attesta sullo 0,7%. L’80% di questi investimenti proveniva da fonti nazionali. “Nel complesso si stima che il fabbisogno di investimenti ambientali per il prossimo periodo raggiungerà almeno lo 0,67 % del PIL italiano annuo – scrivono gli esperti europei -: si profila dunque una carenza di investimenti pari a oltre lo 0,19 % del PIL, da colmare concentrandosi sulle priorità nazionali di attuazione delle politiche ambientali”. Solo per rimanere nell’ambito rifiuti e economia circolare, se si vogliono raggiungere gli obiettivi di riciclo di rifiuti urbani e imballaggi, l’Italia “deve investire ancora 2.304 milioni di euro supplementari tra il 2021 e il 2027 (circa 330 milioni di euro l’anno) nella raccolta e nei ritrattamenti di riciclo, nel trattamento dei rifiuti organici, negli impianti di raccolta differenziata e nella digitalizzazione dei registri dei rifiuti”.

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