Pandemia, problemi sociali e transizione ecologica

di Edo Ronchi

dal blog HuffingtonPost

Il 4 ottobre del 2020 Papa Francesco presentava l’enciclica ”Fratelli tutti” e indicava come via per superare la crisi -sanitaria, sociale ed economica- causata dalla pandemia, la fraternità e l’amicizia sociale, perché questa pandemia avrebbe evidenziato come l’umanità sia un’unica famiglia che vive in una casa comune.

La nuova enciclica si poneva in esplicita continuità con la “Laudato Sì” del 2015 perché la fratellanza, resa sempre più necessaria dalla pandemia, ci spingerebbe sia a una maggiore inclusione sociale sia ad avere maggiore cura per la casa comune, il nostro Pianeta.

A dire il vero anche il “Green Deal“ europeo, alimentato dalle ingenti risorse di “Next generation EU”, seguiva la medesima logica: affrontare la ripresa dalla precipitazione economica e sociale causata dalla pandemia, rafforzando la solidarietà europea, evitando di ripetere gli errori del passato: sia quelli del rigorismo dei conti pubblici anteposto alle problematiche sociali e dello sviluppo, sia quelli della scarsa attenzione alle priorità della crisi climatica ed ecologica.

Questa pandemia, così globalizzata e con una capacità così veloce di diffusione, ha certo evidenziato come siamo strettamente connessi: siamo tutti anelli di un’unica catena, se cede un anello diminuisce la sicurezza e aumentano i rischi per tutti. Se in una parte del mondo il virus non viene contrastato e circola libero ha più facilità di diffusione e di mutazione e quindi di trasmettersi  al resto del pianeta: se non riusciamo a generalizzare a tutto il mondo un buon livello di vaccinazioni, resteremo a lungo esposti alle minacce di questo virus e delle sue varianti.

Ma è altrettanto vero che la pandemia ha aumentato le disuguaglianze, le distanze sociali: sono aumentati in modo consistente assistiti dalle mense, sono aumentati i disoccupati e i precari, specie fra le donne, in alcune attività e settori c’è stato un forte calo del reddito disponibile e nella quota consistente della popolazione anziana, pensionata a basso reddito, c’è un generale peggioramento delle condizioni di vita non solo per la maggiore vulnerabilità al Covid, ma per il maggiore isolamento e la riduzione della socialità e per un peggioramento dell’assistenza  sociale e sanitaria,  assorbite dalle cure per i numerosi malati di Covid.

Per ora più che vedere i frutti di una riscoperta fratellanza, vediamo che la pandemia ha alimentato una forte crescita della sofferenza sociale. C’è anche una risposta adeguata? Per affrontare una crisi sociale così ampia ci vuole tempo. Si vede anche un crescente impegno del volontariato e qualche misura pubblica di sostegno, ma non mi pare di scorgere uno slancio sociale convinto e ampio nelle politiche pubbliche. Ai confini dell’Europa c’è un aumento degli immigrati, con tanti bambini, fuggiti per disperazione dalle loro terre che  cercano di entrare, ma trovano respingimenti duri e non fratellanza e accoglienza. In questo caso non ci sono dubbi: non pare proprio che la pandemia abbia alimentato una maggiore spinta alla fratellanza, anzi!

E la maggiore attenzione alla casa comune della famiglia umana come sta andando? Direi piuttosto male. Per alimentare la ripresa economica è aumentato l’uso dei combustibili fossili, soprattutto di metano, e in alcuni Paesi, a partire dalla Cina, anche di carbone in modo consistente. Dopo tanti bei discorsi sulle buone abitudini da mantenere anche dopo il Covid, andando più a piedi e in bicicletta, i dati del 2020 indicano un rapido aumento dell’uso dell’auto in città e di difficoltà nella ripresa del trasporto pubblico. Le emissioni di gas serra stanno così aumentando e in modo consistente. La superficialità con la quale si dà per scontato l’aumento delle emissioni di gas serra – associato al rimbalzo dopo il forte calo dello scorso anno – indica la sottovalutazione di un nodo strategico della via alla neutralità climatica: non solo la necessità di disaccoppiare la crescita economica dall’aumento delle emissioni di gas serra, ma di accoppiarla ad una  riduzione di tali emissioni.

È sempre più vero, e verificabile, che la transizione ecologica, e climatica, sia ormai una precondizione essenziale, prioritaria, per le possibilità di un benessere più esteso e socialmente inclusivo. I costi della crisi climatica ed ecologica, infatti, sono già rilevanti e pesano maggiormente sui  settori sociali più deboli ed economicamente più vulnerabili. Una precipitazione della crisi climatica genererebbe una vera e propria catastrofe umanitaria: per la forte riduzione delle produzioni agricole, per le alluvioni, le ondate di calore e le siccità prolungate, per l’aumento e la diffusione delle malattie, per l’innalzamento del livello dei mari in zone costiere abitate.

Tuttavia nella crisi alimentata dalla pandemia non sono pochi quelli che invocano ragioni sociali per allentare o eludere le misure climatiche ed ecologiche, alimentando una spirale distruttiva. Sarebbe possibile attuare misure, al contempo, di sostegno sociale e di contrasto alla crisi climatica ed ecologica? Certamente sì. Intanto perché, almeno in parte, si stanno facendo: in modo insufficiente, non con lo stesso impegno in tutti i Paesi, ma si stanno facendo molte attività che generano benessere e occupazione e riducono le emissioni di gas serra. E perché avremmo le capacità tecnologiche ed economiche per farne molte di più.

La transizione ecologica a una società più inclusiva e climaticamente sostenibile non sarà un prodotto spontaneo, né automaticamente alimentato dalla crisi pandemica: questa è una, sia pur parziale, conclusione di queste valutazioni. Serve maggiore consapevolezza, servono capacità adeguate e, soprattutto, scelte di natura politica. Quando le culture politiche sono ancorate ad altre epoche, a contesti molto diversi da quello attuale, trovare le soluzioni politiche adeguate diventa difficile: non si possono risolvere i problemi con la mentalità che li ha creati.

 


Articolo originale pubblicato su Huffington Post Blog in data 10/12/2021
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