Perché le acque radioattive di Fukushima non dovrebbero essere scaricate nell’oceano

di Edo Ronchi

dal blog HuffingtonPost

Il premier giapponese Yoshihide Suga ha annunciato che il suo governo ha deciso di scaricare, fra due anni, nell’Oceano Pacifico l’acqua contaminata da isotopi radioattivi impiegata per raffreddare i reattori danneggiati della centrale nucleare di Fukushima, per una quantità stoccata di 1,23 milioni di tonnellate, alla quale si aggiungono, ogni giorno, altre 140 tonnellate.

I reattori della centrale nucleare, danneggiati e non più produttivi, continuano a generare calore e richiedono di continuare a essere raffreddati per un periodo imprecisato. La centrale nucleare fu fermata 10 anni fa, in seguito a un incidente catastrofico, innescato da uno tsunami, ma causato – secondo la Commissione d’inchiesta – dal fatto che il gestore dell’impianto non aveva compiuto una piena valutazione del rischio sismico, non aveva predisposto adeguate protezioni per gli impianti, né piani di contenimento dei danni, né adeguati piani di evacuazione.

L’Agenzia internazionale per l’energia atomica (AIEA) ha dichiarato che non ci sarebbe alcun pericolo e che il rilascio dell’acqua contaminata nell’Oceano Pacifico sarebbe in linea con gli standard internazionali dell’industria nucleare: il trizio sarebbe presente, in tracce consentite, anche negli scarichi di acque di raffreddamento di altre centrali nucleari, avrebbe una tossicità ridotta e una radioattività  bassa.

Mi permetto di mettere in fila alcune obiezioni.

La prima: l’AIEA non aveva rilevato alcuna anomalia pericolosa nella centrale nucleare prima dell’incidente catastrofico di Fukushima, e nemmeno prima di quello di Chernobyl. Chiediamo pure all’oste se il suo vino è buono, ma affidiamoci alle valutazioni per la tutela della  sicurezza, della salute e dell’ambiente marino a organismi esperti e  indipendenti dal settore nucleare.

La seconda: l’ambiente marino è tutelato da una Convenzione delle Nazioni Unite (UNCLOS, 1994) che obbliga gli Stati a prevenire l’inquinamento in particolare “il versamento di sostanze tossiche, dannose o nocive, in particolare quelle non degradabili“ (art.194). La diluizione nell’oceano non è una ragione accettabile per giustificare lo sversamento di inquinanti: autorizzare sversamenti di inquinanti a mare crea precedenti, incoraggia futuri scarichi e alimenta una catena di inquinamento pericolosa per la vita degli oceani.

La terza: il sistema ALPS (Advanced liquid processing system), impiegato per il filtraggio di queste acque non trattiene il trizio, ma, almeno parzialmente, anche altri isotopi: il rutenio, il cobalto, lo stronzio e il plutonio. Il tempo di dimezzamento della radioattività del trizio è di 12,3 anni, ma il decadimento totale della sua radioattività richiede 246 anni. La radiazione beta, emessa dal decadimento del trizio, è pericolosa se ingerita o inalata. Gli altri isotopi, pure presenti in queste acque, sono ancora più tossici e radioattivi.

La quarta: il governo giapponese ha dichiarato che procederà a un ulteriore filtraggio, per eliminare gli altri isotopi e ridurre il trizio, e a un’ulteriore diluizione al fine di raggiungere un livello di radioattività delle acque che scaricherà nell’oceano pari a 1.500 becquerel per litro. Quanto riuscirà a eliminare e quanto ancora resterà, oltre al trizio, degli altri isotopi radioattivi?

La quinta: grandi quantità di acqua con isotopi radioattivi, di trizio e forse anche con  qualche altro isotopo, per 1.500 becquerel per litro, scaricata per quarant’anni, non comporta solo diluizioni e quindi diffusione della radioattività, ma anche rischi di possibili accumuli nei fondali marini e nei pesci.

La sesta: in 10 anni non potevano trovare una soluzione migliore? Non  potevano, magari riducendone i volumi, mettere queste acque in grandi bacini  controllati a terra e aspettare che la radioattività decadesse senza correre rischi? Costerebbe  di più dello sversamento nell’oceano? Probabile, ma non è un motivo sufficiente per non adottare una gestione più sicura di queste acque contaminate.


Articolo originale pubblicato su Huffington Post Blog in data 16/04/2021
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