di Andrea Barbabella
Ogni anno la Fondazione per lo sviluppo sostenibile, in occasione del “compleanno” del Protocollo di Kyoto (il 16 febbraio del 2005), pubblica le prime stime sulle emissioni di gas serra in Italia per l’anno appena trascorso.
Quello svolto dalla Fondazione non è, e certamente non vuole essere, un esercizio statistico fine a se stesso, né la Fondazione intende sostituirsi agli istituti e centri di ricerca accreditati che istituzionalmente svolgono questo compito, seguendo rigorose procedure e complicati meccanismi di validazione dei dati.
Con questo resoconto annuale la Fondazione risponde alla necessità di verificare in modo tempestivo le performance del nostro Paese verso gli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra e l’efficacia delle politiche messe in campo.
Nell’acceso dibattito su nuovi approcci alla misurazione del benessere e al tentativo di superamento del PIL, proprio quello della tempestività è, infatti, uno dei punti maggiormente dibattuti dagli esperti a livello mondiale: non è pensabile andare verso una integrazione delle statistiche economiche con quelle ambientali, ma anche sociali o della qualità della vita, se le prime rispondono con aggiornamenti trimestrali, o a volte persino mensili, mentre le seconde arrivano con due o tre anni di ritardo lasciando alla programmazione economica campo libero nel guidare sostanzialmente le politiche di governo.
Anche quest’anno, nel mese di febbraio, la Fondazione ha elaborato le stime preliminari delle emissioni di gas serra in Italia al 2014, affidando a un comunicato stampa i principali risultati della nostra analisi.
Secondo tale analisi, nel 2014 le emissioni nazionali di gas serra si sarebbero attestate attorno ai 410 milioni di tonnellate di CO2eq, confermando un trend di progressiva contrazione in corso oramai da oltre un decennio. Rispetto al 1990 il taglio è stato di circa il 20%, ben 110 MtCO2eq; rispetto al picco storico del 2005, in cui le emissioni hanno raggiunto il culmine attestandosi a un valore – quasi 580 MtCO2eq – che non sarà mai più avvicinato, il taglio è stato di quasi 170 MtCO2eq, quasi un 30% in meno.
Andamento delle emissioni di gas serra e dell’intensità carbonica del PIL in Italia, 1990-2014
L’elemento che emerge è che in Italia nell’ultimo decennio si è messo in moto un importante processo di decarbonizzazione che ha dato risultati estremamentepositivi. Dal 2005 al 2014 l’intensità carbonica del PIL, ossia il rapporto tra le emissioni di gas serra e il Prodotto interno lordo, è scesa da 400 a circa 300 gCO2eq/€; in altri termini, in dieci anni per produrre la stessa quantità di ricchezza nazionale sono state prodotte il 25% in meno di emissioni di gas serra. È importante notare come questo processo abbia subito una accelerazione proprio a partire dal 2005, facendo registrare nel periodo 2005-2014 un tasso medio annuo del -2,5% contro quello del -0,4% del decennio precedente. Se nel 2014 i livelli di intensità carbonica fossero stati pari a quelli del 2005, le emissioni nazionali si sarebbero attestate attorno alle 550 MtCO2eq, circa 30 MtCOeq in meno rispetto al picco 2005. Semplificando al massimo, si potrebbe affermare che del taglio di 170 MtCO2eq registrato tra 2005 e il 2014, 30 MtCO2eq sarebbero riconducibili alla riduzione del PIL e ben 140 al miglioramento dell’efficienza carbonica dell’economia nazionale. Utilizzando modelli più raffinati e ragionando a livello comunitario, l’Agenzia europea per l’ambiente indicava il contributo della crisi economica alla riduzione delle emissioni di gas serra registrata tra il 2008 e il 2012 in un intervallo tra il 30 e il 50% lasciando ad altri fattori, primi tra tutti l’efficienza energetica e le fonti rinnovabili, il ruolo principale.
Tornando all’Italia, emerge l’importanza di quelle forze, che alcuni tendono a riconoscere innanzitutto nell’ampio mondo della green economy, che negli anni hanno lavorato – e lavorano tutt’ora – in modo efficace in favore di una transizione energetica low carbon. Tali forze sono alimentate da diversi fattori, come la visione di imprenditori che decidono di puntare su prodotti e processi fortemente caratterizzati in chiave green, o politiche europee virtuose che alimentano anche in Italia processi favorevoli (si pensi agli standard energetici, ad esempio). Ma è altrettanto innegabile che su tali risultati abbiano inciso anche politiche nazionali che si sono dimostrate favorevoli, come il caso delle detrazioni del 55-65% per le ristrutturazioni “efficienti” in edilizia o il sistema dei certificati bianchi, ma anche i meccanismi di incentivazione delle rinnovabili elettriche e termiche, per ultimo il conto termico pensato soprattutto per la Pubblica amministrazione, pur con tutti i loro limiti ed errori.
Tutto bene, dunque? No, proprio negli ultimissimi anni si sono moltiplicati segnali di allarme che suggeriscono la necessità di mettere in campo nel nostro Paese un rinnovato impegno in favore delle tecnologie low carbon. Proprio nel 2013, l’anno del sorpasso delle rinnovabili sui fossili per potenza elettrica installata a livello mondiale, gli investimenti in Italia nelle fonti rinnovabili hanno fatto segnare un preoccupante passo indietro: secondo le statistiche di EurObserver, il nostro paese sarebbe passato da essere il secondo investitore in Europa su queste tecnologie, dopo la Germania, al quarto posto, superato da Francia e Regno unito.
In una fase storica in cui è sempre più chiaro il ruolo che le fonti rinnovabili giocheranno sul mercato degli investimenti globali nell’energia, aprendo importanti opportunità di sviluppo economico e crescita delle imprese, sembra quanto mai urgente, e saggio,adottare una visione politica e industriale avanzata che sappia fare del bagaglio di esperienza e knowhow acquisito fino a oggi nella green economy un punto di forza chiave attorno a cui rilanciare la competitività del Paese e agganciare la tanto agognata ripresa.