di Edo Ronchi
La Commissione europea ha ormai proposto ciò che prima era stato indicato solo a livello scientifico: arrivare a emissioni nette di CO2 pari a zero entro il 2050, obiettivo necessario per attuare l’Accordo di Parigi e mantenere l’aumento globale delle temperature al di sotto dei 2°C.
Il 2050 è fra una trentina d’anni e l’obiettivo dello zero emissioni nette è di quelli sfidanti. Forse per questo se ne parla poco. Per tale obiettivo necessario per evitare una precipitazione drammatica della crisi climatica, fra 30 anni non dovranno più circolare auto diesel, a benzina o a gas di origine fossile e l’elettricità non potrà più essere generata né con carbone né con gas o petrolio.
Per il riscaldamento o per cucinare non potrà più essere usato alcun combustibile fossile, nemmeno il gas di origine fossile. E che succederà dell’industria pesante che consuma un sacco di energia di origine fossile?
Un recente studio, Industrial Transformation 2050, pubblicato dalla Università di Cambridge e realizzato in collaborazione con vari e qualificati istituti di ricerca, ha valutato le possibilità tecniche per realizzare l’obiettivo di zero emissioni nette in quattro settori di base, rilevanti, dell’industria: quello della produzione di acciaio, di cemento, di plastiche e di ammoniaca, settori che emettono oggi in nell’Unione Europea circa 500 milioni di tonnellate di CO2 all’anno, il 14% del totale di emissioni europee.
Lo studio considera le diverse opzioni che sono necessarie per azzerare queste emissioni. La prima è quella di ridurre i consumi di questi materiali aumentando l’efficienza del loro uso nelle costruzioni, nel trasporto, nei prodotti e negli imballaggi, promuovendo l’uso prolungando, il riuso, la riparabilità e l’ottimizzazione. Con queste misure lo studio stima che si potrebbero ridurre da 58 a 171 Mt le emissioni di CO2.
La seconda è quella di riciclare i rifiuti contenenti tali materiali e reimpiegarli per sostituire l’impiego di materia vergine: per esempio così si potrebbe produrre il 70% dell’acciaio e delle plastiche. La riduzione delle emissioni cosi realizzata potrebbe essere compresa fra le 82 e le 183 Mt.
Un’altra via è quella dell’innovazione dei processi produttivi. Per esempio con la produzione di acciaio con l’utilizzo separato del carbonio dall’idrogeno, oppure con tecnologie a basse emissioni per produrre cemento o con l’uso di biomasse per produrre plastiche o ancora con la produzione di idrogeno solo con l’impiego di elettricità rinnovabile.
Da queste innovazioni del processo di produzione potrebbero arrivare risparmi fra le 143 e le 241 Mt. Cosa risulta da queste prime stime? Sommando i livelli minori di tutte e tre le soluzioni tecniche ipotizzate si arriverebbe a una riduzione di 283 Mt; sommando invece le maggiori riduzioni delle forchette si arriverebbe a 595 Mt.
Solo con le ipotesi massime, quindi, si potrebbe arrivare all’azzeramento delle 500 Mt di emissioni al 2050, mentre con le minime si resterebbe ben lontani. Allo stato attuale delle tecnologie ipotizzabili per azzerare le emissioni nette in questo quattro settori, con una buona probabilità di raggiungere pienamente il risultato, servirebbe quindi anche una quarta tecnica: la cattura e il sequestro (CCS) della CO2 che potrebbe consentire ulteriori tagli di CO2 compresi fra 45 e 235 Mt.
Conclusione che contiene una buona e una cattiva notizia: quella buona è che l’azzeramento al 2050 anche in settori così delicati e impegnativi è possibile; quella cattiva è che la CCS va rapidamente migliorata perché, per ora, la cattura della CO2 è energeticamente costosa e il suo sequestro è, fino a ora, risultato piuttosto complicato da attuare.