Il buon lavoro del Parlamento europeo sulla proposta di Regolamento sugli imballaggi

di Edo Ronchi da HuffPost

Gli emendamenti alla proposta della Commissione di Regolamento sugli imballaggi, approvati dal Parlamento europeo, sono certamente positivi per il riciclo. Rafforzano, infatti, la riciclabilità degli imballaggi, stabilendo che, entro 36 mesi, dovranno essere progettati per essere riciclati, oggetto di raccolte differenziate efficaci ed efficienti, smistati in flussi definiti senza compromettere la riciclabilità di altri flussi, riciclati producendo materie prime seconde in grado di sostituire materie prime primarie e su larga scala; promuovono un riciclo di alta qualità; alzano la raccolta differenziata, obbligatoria, entro il 1° gennaio 2029, al 90% dei materiali degli imballaggi; fissano quote obbligatorie di materiale riciclato nei prodotti in plastica. Se il tasso di raccolta differenziata è pari o superiore all’ 85% in peso degli imballaggi di un determinato formato immessi sul mercato negli anni 2026 e 2027, scatta l’esenzione dall’obbligo di istituzione di un sistema di deposito cauzionale e di restituzione.

Una norma utile perché il sistema basato sul deposito cauzionale, a differenza di quello italiano basato sul contributo ambientale, esenta i produttori e gli utilizzatori dal pagamento di tale contributo: pagano invece i cittadini un sovrapprezzo, il deposito, che lo possono recuperare quando, e se, riconsegnano gli imballaggi a un sistema per il riutilizzo. Il sistema di restituzione con deposito comporta costi aggiuntivi rilevanti e non poche difficoltà organizzative e gestionali. È più efficace di quello italiano? A consuntivo, i risultati ottenuti in Italia dal sistema Conai-Consorzi di filiera per la gestione degli imballaggi sono considerati un’eccellenza in Europa, con il superamento anticipato di tutti i target europei e con una raccolta che ha superato l’82%. Ci può essere un riutilizzo degli imballaggi senza un sistema nazionale di restituzione basato sul deposito cauzionale? Non solo ci può essere, ma in Italia c’è. Nel 2021 sono state riutilizzate in Italia 2.342.000 tonnellate di imballaggi: fra le quali 1.380.000 di pallets di legno e plastica, 386.000 di contenitori e fusti in acciaio, e 186.000 di bottiglie di vetro. Si dovrebbe e si potrebbe fare di più e meglio? Certamente. E i nuovi obiettivi fissati, e che restano anche dopo gli emendamenti, per diversi riutilizzi, spingono in questa direzione, che potrà essere seguita anche con l’attuale sistema italiano, adottando alcune misure integrative, senza bisogno di stravolgimenti, lunghi da attuare, costosi e incerti nei risultati.

Alcuni emendamenti alla proposta di Regolamento della Commissione, approvati dal Parlamento europeo, hanno eliminato o ridotto alcuni obblighi di riutilizzo di imballaggi, in genere promuovendo, in alternativa, un maggiore ed elevato riciclo, oltre l’85%. Taluni hanno criticato queste modifiche in linea generale, non riferendosi a singoli e specificati casi presenti in alcuni di questi emendamenti, ma sulla base del presupposto generale che comunque, in ogni caso, per ogni imballaggio – quale sia il materiale col quale è prodotto, quale sia il suo contenuto – il riutilizzo sia sempre preferibile al riciclo, anche elevato, per la gerarchia fissata dalla normativa europea nella gestione dei rifiuti. Sostenendo questa posizione si manifesta, a mio avviso, una conoscenza approssimativa della norma europea e, soprattutto, un’analisi carente dei concreti impatti ambientali. La normativa europea vigente in materia pone il riutilizzo in posizione prioritaria rispetto al riciclo e, tuttavia, prevede esplicitamente che ”nell’applicare la gerarchia dei rifiuti, gli Stati membri adottano misure volte a incoraggiare le opzioni che danno il miglior risultato ambientale complessivo. A tal fine può essere necessario che flussi di rifiuti specifici si discostino dalla gerarchia laddove ciò sia giustificato dall’impostazione in termini di ciclo di vita in relazione agli impatti complessivi della produzione e della gestione di tali rifiuti”.

Vediamo alcuni dei casi in discussione. L’utilizzo di imballaggi a contatto con bevande e alimenti richiede il rispetto di norme – anche europee – giustamente rigorose, necessarie per assicurare assenza di contaminanti e garanzie di sicurezza sanitaria. La preparazione per il riutilizzo di questi imballaggi richiede, quindi, lavaggi accurati, sterilizzazioni efficaci e asciugatura. L’impatto di ogni crescita dei consumi di acqua non po’ più essere ignorato, specie in Paesi come l’Italia, colpiti, per il cambiamento climatico, da preoccupanti periodi di siccità. I consumi di energia- come documenta fra gli altri anche uno studio dell’IEA – per la preparazione al riutilizzo di alcuni contenitori riutilizzabili per bevande sono superiori a quelli per il riciclo di altri contenitori equivalenti. Senza trascurare il fatto che contenitori in carta e cartone (dalle scatole per la pizza ai bicchieri di carta) e quelli in bioplastica (piatti e bicchieri), pur essendo prodotti con materiali rinnovabili, pur essendo facilmente riciclabili e riciclati in percentuale elevata, pur essendo prodotti con materie prime seconde in buona percentuale, sono in genere monouso, non sono riutilizzabili. Sarebbe sempre ambientalmente vantaggiosa la loro sostituzione, per esempio con contenitori in platica riutilizzabili?

Il “miglior risultato ambientale complessivo” non si raggiunge con un’applicazione generalizzata dell’obbligo di riutilizzo di ogni tipo di imballaggio, ma con l’applicazione della gerarchia europea che comporta un’applicazione mirata del riutilizzo. Quando il riciclo risulta l’opzione migliore o anche equivalente dal punto di vista ambientale complessivo, a maggior ragione se si basa, come in Italia, su un sistema efficace di raccolta differenziata e su un rilevante settore industriale, cresciuto con decenni di impegno, investimenti e innovazioni, va sostenuto e incoraggiato a crescere, non penalizzato per valutazioni ambientali approssimative.

Facebooktwitterlinkedinmail