Ora le Cop vanno riformate e bisogna accelerare sulla decarbonizzazione

di Edo Ronchi da Repubblica

Fare la transizione per uscire dai combustibili fossili, accelerando l’azione in questa decade critica, per conseguire emissioni nette zero entro il 2050: in questi tre impegni sono riassunte le principali e positive conclusioni della Cop28. Visto il tentativo, messo in campo, fino all’ultima bozza presentata dal Presidente Sultan Al Jaber, da un gruppo di Paesi fortemente dipendenti dai fossili, di bloccare la decarbonizzazione, temevamo il peggio. La sostituzione delle parole “phase out” con “transitioning away” non pare un cedimento sostanziale: sia la fuoriuscita dai fossili, sia l’accelerazione, sia l’obiettivo dell’azzeramento delle emissioni nette, sono obiettivi affermati chiaramente.

Ma come mai proprio a Dubai la fuoriuscita dai fossili è diventata così centrale per la gran parte dei Paesi partecipanti? Per almeno tre ragioni. La prima è l’evidente accelerazione della crisi climatica. Il 2022 è stato un altro anno più caldo, segnato da un numero record di eventi atmosferici estremi che hanno causato ingenti danni sociali ed economici, in diverse zone, in numerosi Paesi di tutto il mondo. La seconda è la pubblicazione dei rapporti scientifici sulle valutazioni degli effetti  dei piani approvati dai governi per contrastare il cambiamento climatico: anche se tutte le misure previste da questi piani fossero attuate, sarebbero largamente insufficienti per contenere l’aumento medio globale delle temperatura sotto i 2 °C e, possibilmente, non oltre 1,5°C, come stabilito dall’Accordo di Parigi. Con gli attuali impegni stiamo marciando verso i 3°C. La terza è ben sintetizzata, per la prima volta dall’edizione 2023 del WEO dell’Agenzia internazionale per l’energia: “Le azioni chiave necessarie per ridurre le emissioni fino al 2030 sono ampiamente conosciute e nella maggior parte dei casi molto convenienti”. In conclusione: è ormai largamente diffusa nelle opinioni pubbliche in tutto il mondo e fra i governi la convinzione che dobbiamo abbandonare i fossili, che dobbiamo accelerare la decarbonizzazione e che, in modo articolato, con tappe diverse, per i diversi livelli di sviluppo, saremmo in grado di farlo, tecnicamente ed economicamente.

Purtroppo vi sono alcuni governi, e  regimi, che si reggono – nel senso letterale del termine – sui proventi dell’export di combustibili fossili, specialmente di petrolio e gas, che costituiscono la parte più rilevante delle loro finanze: i governi e i regimi della Russia, dell’Iran e dell’Arabia Saudita, per citare i principali, con un seguito di altri  paesi dell’Opec. Quest governi e regimi, che durerebbero ben poco senza le entrate dell’export del petrolio e del gas, a Dubai sono venuti allo scoperto e hanno costituito il nucleo duro dell’opposizione all’eliminazione dei fossili, attivando l’appoggio anche di qualche servo sciocco, ideologicamente eco-scettico. Per nulla credibile è stato anche il loro tentativo di puntare, per mantenere un uso massiccio di combustibili fossili, sulla cattura e lo stoccaggio della CO2: una tecnologia fino ad ora marginale – perché energeticamente costosa e poco affidabile – e che, in prospettiva, allo stato delle conoscenze e delle sperimentazioni, potrà avere un ruolo limitato e circoscritto alle emissioni di alcune produzioni.

Il tentativo non è passato, nonostante le manovre del Presidente Al Jaber, grazie al blocco dei Paesi a favore dell’impegno per il clima, fra i quali ha avuto, anche in questa occasione, un ruolo importante la delegazione europea, ed anche per l’appoggio di USA e Cina che hanno giocato un ruolo di sponda e di sostegno alla strategia della decarbonizzazione. Lo scampato pericolo a Dubai non ci esime da una riflessione sul meccanismo attuale delle Cop. Per proseguire con credibilità e maggiore incisività – rese necessarie dalla riconosciuta esigenza di accelerazione della transizione – l’iniziativa multilaterale per il clima, sarebbe bene – prima della Cop29, prevista in Azerbaijan, altro Paese che dipende dalle esportazioni di idrocarburi – che siano, se non riformate, almeno risistemate alcune modalità di partecipazione e di funzionamento.

E’ così difficile chiedere ai governi – visto che non pare logico invitare incendiari a spegnere gli incendi – di evitare di inserire nelle loro delegazioni esponenti delle compagnie degli idrocarburi, presenti in numero eccessivo a Dubai? Alle Cop si decide per consenso: in realtà non è mai all’unanimità. Allora perché non dichiarare che, vista l’accelerazione e il punto cruciale al quale siamo giunti, si decide a larga maggioranza, con un mix di criteri che comprendono sia il numero dei Paesi, sia la quota di popolazione mondiale? Possiamo, in alternativa, continuare a correre il rischio che una ridotta minoranza di governi – per interessi particolari legati al petrolio, al gas e al carbone – si possa mettere di traverso e frenare il cambiamento necessario e ormai sostenuto dalla grande maggioranza dei Paesi e della popolazione mondiale? Le Cop possono aiutare, ma per attuare gli impegni, per accelerare la decarbonizzazione si dovrà procedere aggiornando e aumentando gli impegni nazionali dei piani di decarbonizzazione, rapidamente come chiede il segretario generale dell’Onu, al massimo entro due anni, puntando sulle iniziative più incisive dei Paesi più avanzati e volenterosi, sviluppando iniziative delle imprese e dei cittadini, contando sul fatto le tecnologie per la transizione sono oggi “ampiamente conosciute e, nella maggior parte dei casi, molto convenienti “.


Articolo originale pubblicato su Repubblica.it

Facebooktwitterlinkedinmail