di Edo Ronchi
Fino a ora abbiamo sperimentato due fatti: le emissioni mondiali sono cresciute meno della crescita economica e sono diminuite nei paesi colpiti dalla recessione.
Abbiamo sperimentato un disaccoppiamento relativo: le emissioni di CO2 sono in genere cresciute percentualmente meno del Pil e l’intensità carbonica per unità di Pil è migliorata.
Abbiamo inoltre verificato un calo delle emissioni di CO2 nei paesi colpiti dalla crisi finanziaria ed economica, avviata nel 2008-2009, in particolare negli Stati Uniti e in Europa.
Nei periodi di crescita economica abbiamo avuto andamenti diversificati delle emissioni di CO2: dal 2011 al 2016 la Cina ha aumentato mediamente all’anno le proprie emissioni dello 0,7% con un aumento del Pil medio annuo molto elevato, del 7,5%; gli Stati Uniti le hanno ridotte in media dello 0,6% all’anno con un aumento del Pil medio annuo del 2%; l’Unione Europea le ha ridotte in medie dell’ 1,8% all’anno – una riduzione annua più elevata di quella degli Statu Uniti – ma con un aumento medio annuo del Pil più basso, dell’1% annuo .
Dei 10,5 miliardi di tonnellate di CO2 generate dalla produzione in Cina, circa 8,5 miliardi corrispondono a beni e servizi consumati in Cina, circa 2 miliardi corrispondono a prodotti made in Cina esportati e consumati nel resto del mondo, per la parte principale in Europa e negli Stati Uniti. Una valutazione delle relazioni fra Pil ed emissioni in un certo paese deve quindi tenere conto anche delle emissioni di prodotti realizzati altrove, ma comprati – e quindi collegati al reddito – in quel paese.
Non basta, infine, un disaccoppiamento qualunque; ne servirebbe uno molto forte, tale da consentire un taglio drastico delle emissioni (dell’80-90% al 2050): un taglio delle emissioni del 2,5-2,8% all’anno, per alcuni decenni.
Sarebbe possibile avere simili tagli delle emissioni con aumenti del Pil?
Sarebbe possibile, ma solo realizzando rapidamente forti cambiamenti: investendo molto di più nella dematerializzazione, nella ricerca applicata e nella diffusione di tecnologie low carbon, cambiando produzioni, stili di vita e di consumo, fermando il carbone, tagliando fortemente il consumo di petrolio, investendo parecchio nell’efficienza e nel risparmio energetico, molto di più nelle rinnovabili e, nella transizione, anche nel gas. Attenzione però che il tempo disponibile è limitato e la scala delle priorità politiche è decisiva.
Se la scelta prioritaria restasse quella di perseguire alti tassi di crescita del Pil, di qualunque tipo e a ogni costo, dovremmo avere l’onestà intellettuale di ammettere che la sfida climatica non avrebbe ragionevoli possibilità di essere vinta