Rendicontazione non finanziaria delle imprese europee: ancora scarsa l’affidabilità e la comparabilità delle informazioni

La scarsa qualità e comparabilità delle informazioni non finanziarie rendicontate dalle imprese rappresenta un ostacolo alla finanza sostenibile, non potendo gli investitori disporre di informazioni affidabili per orientare le proprie decisioni. I principali rischi finanziari derivanti dalle sfide della sostenibilità, in particolare i cambiamenti climatici, non vengano presi sufficientemente in considerazione nelle strategie degli investitori e delle imprese. Questa la principale riflessione che scaturisce dai risultati dalla ricerca svolta dall’Alliance for Corporate Transparency.

L’Alliance for Corporate Transparency project è un’iniziativa, lanciata nel 2018 dallo studio legale internazionale Frank Bold, con l’obiettivo di fornire raccomandazioni a supporto dello sviluppo della legislazione europea sul reporting non finanziario. Non a caso, i risultati della ricerca pubblicata lo scorso 17 febbraio, sono arrivati in prossimità dell’avvio, da parte della Commissione europea, del processo di revisione della Direttiva 2014/95 sulle informazioni non finanziarie delle imprese. Ed in concomitanza all’annuncio da parte del Vicepresidente esecutivo della Commissione europea – Valdis Dombrovskis – dell’impegno della Commissione nel supportare un processo per lo sviluppo di nuovi standard europei per la rendicontazione di informazioni non finanziarie.

Il progetto ha analizzato le dichiarazioni non finanziarie delle 1.000 maggiori società europee quotate, nei principali settori industriali, attraverso una metodologia che ha consentito di valutare la qualità dell’informativa aziendale rispetto ai principali requisiti della Direttiva sulle informazioni non finanziarie, in merito agli aspetti ambientali, sociali e di governance. La ricerca è un upgrade della prima esperienza, svolta nel 2018 su un campione di 105 aziende di tre settori (ICT, Healthcare and Energy), di cui Frank Bold insieme al partner tecnico del progetto Sustentia ha aggiornato la metodologia e ampliato il campione di analisi.

La ricerca “2018 Research Report – An analysis of the sustainability reports of 1000 companies pursuant to the EU Non-Financial Reporting Directive” rileva che solo una minoranza di aziende fornisce informazioni complete e affidabili, ma in generale la qualità e comparabilità delle informazioni di sostenibilità rendicontate non è sufficiente per poter comprendere i loro impatti, rischi o piani. Con il risultato che, l’intento della Direttiva di collegare “politiche, rischi e risultati” non viene ancora perseguito dalle imprese che tendono, invece, a rendicontare sulle proprie politiche ma non sui relativi risultati: secondo la ricerca diffusa è la presenza di politiche e impegni generici delle imprese (80-90% delle imprese su questioni chiave quali clima, diritti umani e anticorruzione), ma non su obiettivi concreti, risultati attesi delle politiche rispetto ai target impostati e informazioni specifiche su rischi e impatti (20% delle imprese in media).

Ad esempio, con riferimento ai cambiamenti climatici l’82% delle aziende presenta delle politiche al riguardo, il 36% fissa dei target e nel 13,9% dei casi i target sono definiti secondo un approccio scientifico in linea con gli obiettivi dell’Accordo di Parigi. Solo il 28% delle imprese analizzate rendiconta i risultati raggiunti sui target climatici.

Con riferimento alle emissioni di gas a effetto serra, le imprese analizzate rendicontano il proprio Scope 1 e Scope 2 rispettivamente nel 76,6% e 61% dei casi, mente le emissioni Scope 3 sono rendicontate in media solo dal 35% delle aziende, questo probabilmente a causa della confusione legata alle metodologie di raccolta dati. Da notare, inoltre, le differenze significative tra le percentuali di aziende che affrontano i diversi temi ambientali: ad esempio, solo il 33,6% delle aziende affronta il tema della biodiversità e della conservazione degli ecosistemi, mentre il 78,1% delle aziende fa riferimento al tema dei rifiuti. Queste disparità scompaiono quando si passa ad esaminare l’informativa sui rischi, infatti il 12,5% delle aziende identifica rischi specifici con riferimento all’uso delle risorse naturali, il 9,6% agli scarichi inquinanti, il 7,2% alla biodiversità e conservazione degli ecosistemi e solo il 6,6% sui rifiuti. Ciò sembra dimostrare che l’informativa sulle politiche tende spesso a non essere correlata alla materialità dei temi per le aziende.

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