
Negli ultimi 6 anni sono stati pubblicati solo due decreti End of Waste: uno sul conglomerato bituminoso, l’altro (dopo un’istruttoria durata 5 anni) sui prodotti assorbenti per la persona (PAP). Altri 16 decreti ministeriali sono ancora in lavorazione, alcuni da anni.
Riguardano un’ampia gamma di rifiuti in attesa di diventare materia riutilizzabile: dalla gomma vulcanizzata granulare proveniente dal riciclo degli pneumatici fuori uso ai rifiuti di gesso, dalla carta da macero ai rifiuti inerti da spazzamento strade, dagli oli alimentari esausti alla vetroresina.
Sono alcuni dei dati ricordati dal presidente del Circular Economy Network Edo Ronchi durante l’audizione del 24 settembre 2019, presso l’VIII Commissione Ambiente della Camera dei Deputati, nel corso dell’indagine conoscitiva del Parlamento sulla normativa che regola la cessazione della qualifica di rifiuto.
Dai fatti esposti si ricava che le autorizzazioni delle attività di riciclo dei rifiuti che, dopo adeguato trattamento, diventino prodotti, non possono essere demandate ai soli decreti End of waste, sia per i tempi lunghi che richiedono questi decreti, sia perché vi sono tipologie di rifiuti riciclabili, trattamenti di riciclo e prodotti ottenuti che cambiano per un’evoluzione tecnologica che non è possibile seguire tempestivamente con decreti nazionali. Occorre quindi, da una parte, operare a livello normativo per snellire la procedura e rendere meno pesanti e complicati questi decreti End of Waste (rafforzando anche le strutture ministeriali destinate alla loro elaborazione) e, dall’altra, consentire alle Regioni, sulla base di condizioni e criteri comuni e omogenei a livello europeo e quindi anche nazionale, di poter intervenire nei casi non ancora regolati da tali decreti.
Inoltre, in base all’attuale disciplina transitoria normata dal comma 19 dell’art.1 della legge di conversione del decreto “sblocca cantieri”, non è possibile:
- riciclare tipologie di rifiuti, di provenienze e di caratteristiche non previste, non inserite e non regolate dal DM 5 febbraio 1998 e successivi, né dai due DM End of Waste pubblicati (per esempio rifiuti da spazzamento stradale che oggi potrebbero essere recuperati con produzione di ghiaia e sabbia, rifiuti in vetroresina da demolizione delle barche e pale eoliche, ecc.)
- avviare attività di riciclo non previste dal DM 5 febbraio 1998 (per esempio attività di produzione di biometano, attività di trattamento di rifiuti di plastiche miste per ottenere prodotti non conformi ai prodotti in plastica usualmente commercializzati né alla specifica Uniplast-UNI, alcuni trattamenti innovativi dei RAEE, ecc)
- ottenere prodotti non previsti, non inclusi e quindi non regolati dal DM 5 febbraio 1998 (per esempio con il riciclo dei rifiuti inerti da costruzione e demolizione non è prevista la produzione di aggregati riciclati ma solo rilevati e sottofondi stradali, con gli PFU non è previsto di fare granulo per i campi da calcio, ecc.)
Questa norma ha ingessato il riciclo dei rifiuti, fermandolo alle tipologie, tecnologie e prodotti del 1998, cioè di oltre 20 anni fa, ignorando il grande progresso che c’è stato e che prosegue con grande rapidità, con continue e diffuse innovazioni che non possono aspettare i tempi lunghi dei decreti nazionali.
Serve dunque un intervento urgente di abolizione di questo comma 19 che sta generando rilevanti danni ambientali: ostacola il riciclo di importanti quantità di rifiuti; causa un aumento del prelievo di risorse naturali, dei consumi di energia e di emissioni di gas serra, nonché un aumento degli impatti delle discariche e degli inceneritori per un aumento delle quantità non riciclate e quindi da smaltire.
Visto che non sono praticabili disposizioni nazionali End of Waste dettagliate e valide per tutte le svariate tipologie, i diversi trattamenti e i numerosi prodotti ottenuti dal riciclo, perché non limitarsi a recepire la griglia delle condizioni e dei criteri indicati nell’art.6 della nuova Direttiva che prevede criteri in grado di assicurare anche una buona tutela ambientale?
Come sostenuto da 56 organizzazioni di imprese, la soluzione di questo problema è urgente: i danni ambientali, economici e occupazioni che si stanno provocando sono rilevanti. Occorre utilizzare, senza indugi, il primo veicolo disponibile (la conversione del decreto sulle crisi aziendali all’esame del Senato) per inserire un emendamento: i motivi di urgenza sono evidenti, le crisi di numerose aziende del riciclo sono note e in peggioramento.
Occorre consentire alle Regioni, nei casi in cui ancora non vi siano decreti End of Waste, di autorizzare il riciclo dei rifiuti (che comprende necessariamente la cessazione della loro qualifica di rifiuto) applicando omogeneamente le condizioni e i criteri precisamente indicati dall’art. 6 della nuova direttiva per le autorizzazioni caso per caso.
Occorre istituire presso il Ministero dell’Ambiente un Registro di tali autorizzazioni per poterle controllare.
Occorre accelerare l’iter e rafforzare le strutture per i decreti ministeriali End of Waste.
Al seguente link la nota del Circular Economy Network:



