Sottoprodotti: usarli meglio con la simbiosi industriale

sottoprodotti

In Italia finiscono tra i rifiuti anche molti scarti che invece potrebbero essere riutilizzati nei cicli produttivi. Le cause? La scarsa conoscenza, una normativa a tratti “scivolosa” e l’incapacità di immaginare l’impiego dei sottoprodotti già nella fase di pianificazione industriale. Sono alcune delle conclusioni alle quali arriva l’ultimo position paper del Laboratorio REF dedicato agli scarti della produzione. Alcune possibili soluzioni per migliorare la loro valorizzazione passano dalla definizione di incentivi normativi al loro utilizzo all’attivazione di circuiti di osmosi industriale.

Cosa sono i sottoprodotti?
I sottoprodotti sono scarti e residui come sfridi, cascami e avanzi di processi produttivi. Non sono rifiuti ma beni che devono soddisfare le condizioni previste dal Testo unico ambientale. Per una elencazione più completa delle condizioni previste rimandiamo al testo integrale del dossier REF. Semplificando, possiamo dire che i sottoprodotti devono poter essere utilizzati “direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale”, definizione vaga che come si intuisce crea già un’incertezza normativa. Il loro utilizzo deve rispettare i requisiti riguardanti la protezione della salute e dell’ambiente. Imprescindibile inoltre è la “certezza dell’utilizzo”, “nel corso dello stesso processo di produzione o di utilizzazione o di uno stadio successivo, da parte del produttore o di terzi”.

Cosa significa “certezza dell’utilizzo”? Che il successivo utilizzo di uno scarto non è semplicemente una mera eventualità. Il produttore deve quindi sapere e indicare con certezza quale sarà l’utilizzo dei sottoprodotti derivanti dal suo processo industriale. Ne consegue, come evidenziato nella ricerca, che è

“compito del produttore attivare sin dall’inizio della sua attività un ciclo produttivo capace di incanalare i residui […] all’interno dello stesso o di un altro ciclo produttivo, attivando le necessarie forme di osmosi industriali. In quest’ottica, la messa a valore dei sottoprodotti appare prevalentemente il frutto di una sapiente pianificazione industriale, la cui importanza rischia di essere sottovalutata dalle imprese”.

Le buone pratiche di simbiosi industriale

La simbiosi industriale, intesa come “un sistema integrato per condividere risorse”, diviene fondamentale per valorizzare i sottoprodotti. Un approccio virtuoso che potrebbe trovare un’ampia applicazione in Italia, Paese dei 41 distretti industriali (dati Istat). Al momento sono solo tre i distretti che hanno ottenuto la certificazione EMAS per la gestione sostenibile delle aree produttive. E la gestione dei sottoprodotti è fondamentale per l’ottenimento della certificazione. I tre distretti in questione sono:

  • Distretto legno e arredo e sistema casa nelle province di Udine e Pordenone.
  • Conciario toscano di Santa Croce sull’Arno (PI).
  • Distretto chimico e industriale di Ravenna.

Insomma, il potenziale è ancora vasto anche se non mancano altre buone pratiche: dalla cartiera Favini che produce carta con residui della lavorazione del cuoio, alla siciliana Orange Fiber che ha brevettato la produzione di tessuti ricavati da sottoprodotti della spremitura industriale delle arance. Dalla Ferrero che sta sviluppando prodotti farmaceutici o per la cosmesi a partire dai gusci delle nocciole alla Nuova Fratelli Boretti che rigenera gli scarti delle lavorazioni tessili pre-consumo.

Incentivi e proposte di policy

La ricerca del Laboratorio REF ha il merito di presentare diversi possibili utilizzi, ad esempio nel settore agroalimentare e tessile, così come nella chimica e nella lavorazione dei metalli. Il dossier avanza inoltre alcune proposte di policy. Oltre a sgravi fiscali per ogni iniziativa imprenditoriale che adotti un piano certificato di riduzione dei rifiuti grazie alla valorizzazione dei sottoprodotti, la ricerca suggerisce di indicare l’impiego di sottoprodotti già in fase di richiesta delle autorizzazioni ambientali (come AIA e AUA):

“Potrebbe essere adottato dalle Regioni, su specifica indicazione del MASE, uno specifico modello di valutazione che contempli, in materia di gestione degli scarti, un’analisi obbligatoria circa la possibilità di utilizzo di sottoprodotti nel proprio ciclo produttivo e di possibile produzione di sottoprodotti in luogo di rifiuti. Tali informazioni, opportunamente sistematizzate, dovrebbero poi essere trasmesse alla Camera di Commercio territorialmente competente ai fini della pubblicazione delle informazioni nella propria banca telematica che mette in contatto domanda e offerta”.

Un ruolo propulsivo potrebbero inoltre averlo le norme tecniche UNI necessarie a “regolamentare meglio il loro impiego nei singoli settori, contribuendo a innovare e ad affermare i sottoprodotti come elemento imprescindibile della normale pratica industriale, eliminando residui di incertezza e di diffidenza”. Se a ciò si aggiungono altri strumenti economici e fiscali, come i Criteri ambientali minimi, i Certificati del Riciclo, i Certificati Bianchi di può delineare un efficace armamentario di incentivi.

L’Italia, ricorda la ricerca, è il Paese europeo dove, tra il 2010 e il 2020, la produzione di rifiuti è cresciuta del 21% a fronte di una contrazione del PIL dell’8%. In Paesi UE con un tessuto manifatturiero comparabile al nostro come Francia e Germania la produzione di rifiuti è cresciuta meno del PIL. L’uso sapiente dei sottoprodotti potrebbe contribuire a disaccoppiare andamento del PIL e produzione di rifiuti. Migliorando l’efficienza complessiva nell’uso delle risorse e in definitiva promuovendo la transizione all’economia circolare.


Di questo e altro ne discuteremo al Convegno, organizzato in collaborazione con SECAM, “Sottoprodotti: problemi e opportunità” l’8 febbraio a Milano presso l’Hotel Hilton, in Via L. Galvani 12, dalle 10.30 alle 13.30.

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Articolo originale pubblicato sul sito del Circular Economy Network
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