Una carbon tax per dare seguito alla lotta dei giovani per il clima

di Edo Ronchi

dal blog HuffingtonPost

Le grandi manifestazioni per il clima che si sono svolte in tutto il mondo dei giovani della generazione di Greta hanno prodotto almeno due risultati: il primo è stato un forte impatto comunicativo mondiale che ha travolto il fronte negazionista e scettico sulla crisi climatica, ridotto all’angolo, sulla difensiva, a fare battute acide contro i “cretini“; il secondo è stato quello di porre a un fronte ampio di opinione pubblica, di forze sociali e politiche l’interrogativo “cosa possiamo fare di concreto per ridurre in modo più consistente le emissioni di gas serra che stanno sconvolgendo il clima”?

Per dare una risposta a un interrogativo come questo occorre prendere atto che affrontare questa crisi climatica non è una passeggiata: non bastano annunci di buone intenzioni, accompagnati da qualche misura simbolica. Servono interventi consistenti, finanziamenti rilevanti e scelte coraggiose e lungimiranti.

In Italia le emissioni di gas serra sono a 426 Mton di CO2 equiv: praticamente non calano dal 2014. Per allinearci con la traiettoria dell’Accordo di Parigi per il clima dovremmo almeno dimezzare, entro il 2030, le emissioni del 1990 che erano pari a circa 520 Mton, quindi ridurle a 260 Mton.

Secondo le stime dell’ISPRA, con le misure attualmente vigenti, arriveremmo a 380 Mton al 2030. Ci mancano misure per tagliare 120 Mton nei prossimi 10 anni,12 Mton all’anno. Se c’è qualcuno in grado di dimostrare che sia possibile produrre uno sforzo del genere senza mettere in campo un impegno straordinario, ma solo con piccole misure di ordinaria amministrazione, si faccia avanti.

C’è un solo strumento in grado di disincentivare l’impiego di combustibili fossili (carbone, derivati del petrolio come benzina e gasolio e del gas) e di generare risorse finanziarie rilevanti in grado di finanziare la transizione verso un’economia a basse o nulle emissioni di carbonio: si chiama carbon tax.

Non si arriva a drastici abbattimenti delle emissioni di carbonio se si continua a permettere di emetterle gratuitamente in atmosfera, nonostante i gravi danni che provocano. Secondo un recente rapporto della World Bank (State and trends of carbon pricing, 2019) è in atto una forte diffusione di questo strumento nel mondo: i paesi che hanno introdotto misure di carbon pricing sono cresciuti da 19 nel 2010 a ben 56 nel 2019.

In Europa già 10 Paesi hanno introdotto una carbon tax: Finlandia, Danimarca, Slovenia, Polonia, Norvegia, Svezia, Francia, Spagna, Portogallo e, recentemente, anche la Germania.

La carbon tax è necessaria per coinvolgere i consumatori e le imprese in scelte di riduzione delle emissioni di gas serra, utilizzando anche la comunicazione dei prezzi. La carbon tax va introdotta gradualmente preparando la sua introduzione con una fase di discussione e di confronto pubblico, nei settori non regolati dall’ETS che già pagano un prezzo per le proprie emissioni, partendo da un livello basso che va fatto crescere gradualmente.

Una parte di questa tassa va impiegata per ridurre altre tasse, a partire da quelle sul lavoro e per compensazioni sociali per le famiglie a basso reddito. La parte rimanente, intorno alla metà, andrebbe investita in attività che riducano le emissioni, alimentino la green economy e l’occupazione.

La carbon tax è anche lo strumento più efficace per ridurre i sussidi esistenti dannosi per l’ambiente perché consente di applicare e comunicare un criterio omogeneo per la loro graduale riallocazione: dare e far pagare un prezzo per le emissioni di carbonio.


Articolo originale pubblicato su Huffington Post Blog in data 04/10/2019
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