Un’opinione:perché l’Italia può fare a meno del nucleare

di Edo Ronchi

Il nucleare e’ una tecnologia rischiosa che non ha risolto il problema della gestione dei rifiuti radioattivi. In Italia, dopo 24 anni dalla chiusura del nucleare, non è ancora stato realizzato il sito di stoccaggio.

L’analisi storica (degli incidenti conosciuti e studiati), l’analisi di operabilità (della identificazione dei  possibili eventi incidentali per errori, malfunzionamenti, attentati terroristici, ecc.), quella delle possibili conseguenze di tali eventi incidentali, continuano a far classificare i reattori nucleari, compresi quelli di terza generazione, quali impianti a rischio di incidente rilevante. I progressi fatti in materia di sicurezza dei nuovi reattori non sono sufficienti: anche per questi, infatti, restano obbligatori, proprio perché impianti a rischio, i piani di emergenza, interna e esterna. I radionuclidi, formati durante l’esercizio delle centrali, che potrebbero giungere all’ambiente esterno a seguito di rilasci di piccole quantità di prodotti di fissione, di rilasci in caso d’incidente, anche di piccola entità, di rilasci dei rifiuti radioattivi di bassa e media attività, nonché di rifiuti ad alta attività e a lunga vita costituiti da combustibile esausto e/o dal materiale derivante dal ritrattamento del combustibile irraggiato, continuano a costituire elementi di potenziali impatti negativi per la salute e per l’ambiente, sia per gli effetti deterministici (che si manifestano a dosi relativamente elevate), sia gli effetti stocastici o probabilistici (tipici delle esposizioni alle basse dosi). E’ dal 1987, anno di chiusura del nucleare in Italia, che si discute di un sito per lo stoccaggio dei rifiuti radioattivi. Sono intervenute norme di legge, decreti, commissioni, sono state prese decisioni, poi ritirate. Nuove proposte sono ora in istruttoria, ma il sito per lo stoccaggio di tali rifiuti ancora non c’è. Il nucleare produce rifiuti pericolosi, radioattivi e fortemente tossici, che non esistono in natura, parte dei quali restano tali per molte migliaia di anni (il tempo di dimezzamento della radioattività del plutonio è di 24 mila anni) e che non sappiamo come smaltire. Possiamo solo custodirli in qualche posto, mentre continuano a produrre radioattività e calore per migliaia di anni, lasciando il problema in eredità alle future generazioni.

2. Il territorio italiano è il meno adatto, in Europa, per ospitare centrali nucleari.
L’Italia è un paese europeo, la sua rete elettrica è integrata con quella europea. Ragionamenti puramente nazionali sul mix delle fonti elettriche sono solo il frutto di vecchie visioni, non aggiornate alla nuova realtà europea. Ciascun territorio europeo deve puntare su uno sviluppo armonizzato con gli altri territori, valorizzando le proprie specificità e qualità, anche in campo energetico. Il territorio Italiano è densamente popolato, con una vasta porzione montuosa, con vaste aree a rischio sismico, con 6.600 comuni, circa 80%, esposti al rischio idrogeologico, di alluvioni o frane. Il territorio italiano, per condizioni climatiche e geografiche, dispone del patrimonio naturale più ricco d’Europa, con vaste porzioni tutelate perché siti di importanza comunitaria, zone di protezione speciale europea, parchi e aree naturali protette: il territorio soggetto a protezione naturalistica è oltre il 19%. L’Italia ospita il patrimonio storico, artistico, culturale e archeologico più importante del mondo: un patrimonio importante per tutta l’Europa. Per tutte queste ragioni l’Italia è il Paese europeo meno adatto ad ospitare centrali nucleari. Non è per caso che, anche prima del referendum, di nucleare in Italia se n’era fatto ben poco: mentre in Francia c’erano già 58 reattori funzionanti, in Italia il nucleare era del tutto marginale, con una sola centrale funzionante, a Caorso, due vecchie e piccole centrali avviate a chiusura, a Latina e a Trino, e una sola nuova centrale in costruzione, a Montalto di Castro. E non è nemmeno un caso che i cittadini che vivono sul territorio, che gli enti locali e le regioni, più vicine al territorio, siano così diffusamente e ampiamente contrari al nucleare .E’ proprio questo peculiare contesto territoriale dell’Italia che rende sostanzialmente impraticabile una scelta di ritorno al nucleare in Italia, per giunta imposta al Paese da un governo e da una ristretta e temporanea maggioranza parlamentare. Anche se questa forzatura riuscisse a far aprire un cantiere per avviare la costruzione di un reattore nucleare, si tratterebbe di una scelta precaria, destinata ad essere, prima o poi, rimessa in discussione, lasciando solo una coda di costi a carico della collettività. Ricordo che da 23 anni, anche se le centrali nucleari non hanno prodotto più nemmeno un chilowattora, continuiamo a pagare centinaia di milioni all’anno: ancora 285 milioni per oneri nucleari nelle bollette del 2010.

3. L’Italia è in grado di realizzare i suoi obiettivi di riduzione delle emissioni di gas di serra senza il nucleare, con il risparmio energetico, con lo sviluppo delle rinnovabili e, in futuro, con la cattura e il sequestro della CO2.
Le emissioni di gas serra in Italia sono diminuite da 516,9 milioni di tonnellate di CO2 equiv. nel 1990 a circa 485,8 milioni di ton. nel 2010, con un calo di circa il 6%, sostanzialmente in linea con il nostro obiettivo fissato dal Protocollo di Kyoto (-6,5% come media del periodo 2008-2012). Attuando la direttiva europea, vincolante, per lo sviluppo delle energie rinnovabili e l’obiettivo europeo di risparmio energetico, andremmo oltre l’obiettivo di ridurre le nostre emissioni del 20% entro il 2020, senza alcun bisogno di centrali nucleari. L’Italia è ben posizionata, sia per la ricerca sia per le prime realizzazioni sperimentali, nelle tecniche di cattura e sequestro dell’anidride carbonica. E’ molto più interessante per l’Italia sviluppare questa tecnologia, anche in vista di suoi possibili sviluppi internazionali. Per il nucleare sono in corso diversi progetti di ricerca per tecnologie più sicure e con una minore produzione e una minore pericolosità dei rifiuti: è utile partecipare a queste ricerche, anche se sono prevedibili possibili esiti significativi solo fra qualche decennio.

4. L’Italia può fare a meno delle centrali nucleari per soddisfare il proprio fabbisogno di elettricità.
Tenendo conto della crescita dell’elettricità prodotta con fonti rinnovabili che nel 2020 supererà il 30% del nostro consumo e della crescita più lenta della domanda di elettricità, visto il consistente programma di costruzione di nuove centrali, soprattutto a gas, andiamo già verso un eccesso di potenza elettrica installata, anche senza il nucleare. Nel 2008 con una potenza di centrali termoelettriche tradizionali pari a 76.000 MW sono stati prodotti 255 TWh, nel 2010 la produzione termoelettrica è scesa a 222 Twh; ma la potenza elettrica installata, programmata prima della crisi del 2008-2009, e prima della crescita delle rinnovabili, continua a crescere. Abbiamo,infatti, 5.232 MW di nuove centrali termoelettriche in costruzione, altri 1.198 MW già autorizzati, ulteriori 4.750 MW in fase finale di autorizzazione e altri 10.428 MW in fase iniziale di autorizzazione (Fonte: MSE, 2009). Anche tenendo conto di un po’ di dismissioni, anche senza nuove centrali nucleari, abbiamo già un eccesso di potenza installata. Occorrerà, quindi, rinunciare alla costruzione di alcune delle nuove centrali termoelettriche già progettate e in fase di autorizzazione e mettere in conto che una parte dei nuovi impianti è destinato a funzionare con un numero di ore non ottimale. L’Italia importa elettricità, ma non per una carenza di capacità produttiva: nel 2009, anno in cui la richiesta di elettricità in rete è calata del 5,7%, quando le nostre centrali termoelettriche, sottoutilizzate, hanno ridotto la produzione del 14,2% rispetto al 2008, le importazioni di elettricità sono invece aumentate dell’8,4% (fonte .Terna 2009) perché il costo dell’elettricità in Italia, nonostante la crisi, è rimasto elevato. L’elevato costo dell’elettricità in Italia dipende da diverse cause che non hanno nulla a che vedere col nucleare: da troppi oneri che vanno in bolletta (ben 7: il bonus elettrico, le agevolazioni per le isole minori, le agevolazioni per le ferrovie, quelle per la ricerca, gli oneri del vecchio nucleare, quelli per le fonti assimilate e quelli per le fonti rinnovabili), dall’IVA su questi oneri, dal prelievo fiscale, dal cattivo funzionamento del mercato elettrico, dai costi generati dalle carenze, dalle strozzature e dalle perdite di rete.

5. La scelta nucleare renderebbe l’elettricità in Italia ancora più cara.
La Fondazione per lo sviluppo sostenibile ha realizzato una ricerca comparativa, pubblicata su Gazzetta Ambiente n.5 /2010, analizzando 7 studi, realizzati dopo il 2008 in Europa e negli USA, sui costi dell’elettricità prodotta con nuove centrali nucleari, con nuove centrali a gas e a carbone. Si tratta di studi realizzati da istituzioni pubbliche o da qualificati enti terzi, non direttamente interessati a costruire centrali elettriche, più precisamente: dall’Ufficio del Budget del Congresso degli USA, dalla Commissione Europea, dalla Camera dei Lords, dal DOE dell’Amministrazione USA, dall’EPRI di Palo Alto, dal MIT e da Moody’s. Il costo medio attualizzato dell’energia elettrica prodotta dalle nuove centrali nucleari nei 7 studi citati risulta pari a 72,8 Euro/MWh, simile al valore del range della NEA (agenzia per l’energia nucleare) dell’OCSE, calcolato con  un costo del capitale pari al 10% (il minimo per investimenti rischiosi come questi, con rientri differiti di molti anni). Dalla medesima analisi comparata risulta che il costo medio di produzione dell’elettricità delle nuove centrali a gas è di 61 Euro/MWh, il 16% in meno di quello delle nuove centrali nucleari, mentre il costo medio di produzione dell’elettricità delle nuove centrali a carbone è di 57,5 Euro/MWh, il 21% in meno di quello delle nuove centrali nucleari. Sui singoli valori e sui metodi di calcolo si può discutere, ma un dato è certo: tutti questi studi, valutano l’elettricità prodotta con nuove centrali nucleari come più costosa di quella prodotta con nuove centrali a gas o a carbone. Il che tradotto in altre parole significa che puntare sulle nuove centrali nucleari significa puntare su una elettricità non più economica, ma più cara. A novembre 2010, il DOE, il Dipartimento dell’Energia del Governo degli Stati Uniti, ha pubblicato un aggiornamento della stima dei costi dell’elettricità prodotta dalle nuove centrali che entreranno in esercizio nel 2020: per il nucleare il costo, maggiore e più svantaggioso delle stime precedenti utilizzate nella nostra valutazione comparativa, sarebbe di 14,37 centesimi di dollaro al KWh, per il carbone sarebbe di 12,49, per il gas 8,05.

6. Con l’utilizzo del gas non convenzionale le riserve mondiali di gas sono raddoppiate e il suo prezzo è in calo. Il gas sarà, in futuro, ampiamente disponibile, prodotto in numerose aree, e più conveniente del nucleare per produrre elettricità.
Si tratta in sostanza di un gas naturale contenuto in formazioni geologiche meno permeabili rispetto a quelle convenzionali, che richiedono particolari tecniche di estrazione. Il gas non convenzionale comprende tre principali tipologie: lo shale gas, che deriva da rocce scistose, per lo più argille; il coal bed methane, ossia metano da strati carboniferi; il tight gas, da formazioni arenacee. Nel 2009 negli USA la produzione di gas non convenzionale ha superato quella del gas convenzionale. L’Agenzia Internazionale dell’Energia ha recentemente confermato una stima della disponibilità mondiale del gas non convenzionale almeno pari a quella del gas convenzionale. Una crescita cosi tumultuosa della disponibilità di gas, raddoppiata in soli tre anni, cambia significativamente gli scenari mondiali dell’energia. La distribuzione di questa risorsa ridisegna,b inoltre, la mappa geopolitica dell’energia, a favore del Nord America che, insieme alla Cina, all’India e al Nord Africa, hanno le maggiori riserve. Negli USA l’impatto sui mercati spot del gas non convenzionale è stato impressionante: i prezzi del gas sono crollati, da 13 a circa 5 dollari per MBtu. Negli ultimi due anni si è assistito ad un fenomeno inedito, anche se non ancora generalizzato: il disaccoppiamento del prezzo del gas da quello del petrolio. Importanti gruppi industriali di tutto il mondo si stanno muovendo: in Europa colossi come Exxon, Total, ma anche le italiane ENI e Sorgenia, stanno avviando numerosi progetti. E anche se in Europa la disponibilità di questo gas non convenzionale è inferiore di quella americana, il raddoppio delle riserve mondiali di gas, la possibilità, fortemente cresciuta, di ricorrere a diverse aree di approvvigionamento, sicuro e di lungo termine, prezzi tendenzialmente in calo, produrranno un aumento del peso del gas non solo nel sistema energetico degli Stati Uniti, ma anche in quello dell’ Europa. Sarebbe incomprensibile che proprio l’Italia, che ha puntato sul gas per produrre una parte rilevante dell’elettricità, puntasse proprio ora sul nucleare, riducendo l’uso del gas: una fonte, a minori emissioni di CO2, che è diventata più abbondante, più sicura e meno costosa.

Roma,5 marzo 2011

Facebooktwitterlinkedinmail