Green acts X | introduzione:

di Fabrizio Vigni

Nel suo libro “L’economia della ciambella”, Kate Raworth ricostruisce la storia delle teorie che stanno alla base dell’attuale paradigma economico e, attingendo alle acquisizioni dell’economia ecologica, indica la necessità di ripensare radicalmente l’economia del 21° secolo per orientarla verso un’economia circolare, capace di rigenerare i sistemi naturali e al tempo stesso garantire una più equa ripartizione delle risorse. Più o meno sulla stessa lunghezza d’onda, Jacques Attali ha ricordato pochi giorni fa in un’intervista che “dobbiamo accelerare la rivoluzione positiva: la gravità dei danni causati dall’effetto serra e l’aumento delle disuguaglianze lo esigono».

Quanto questa consapevolezza è presente nella politica italiana? Quanto la green economy e l’ambiente sono tra le priorità programmatiche? Se dovessimo giudicare dalla campagna elettorale in corso il bilancio sarebbe, per usare un eufemismo, tutt’altro che esaltante. Eppure ce n’è, di pane da masticare, per chi vuole proporre un’idea di futuro carica di potenzialità positive e all’altezza delle sfide epocali da affrontare. Cresce il numero delle aziende che investono sul green. L’Italia è in diversi settori, ad esempio nel riciclo, tra i paesi leader in Europa. La nostra agricoltura ha fatto molti passi avanti verso la sostenibilità e la qualità. Abbiamo ulteriori potenzialità da cogliere per quanto riguarda lo sviluppo delle energie rinnovabili – a fronte dei nuovi target europei per il 2030 e nello scenario fotografato dal rapporto dell’Agenzia internazionale per le energie rinnovabili – così come per quanto riguarda l’efficienza energetica (segnaliamo a questo proposito il decreto emanato a fine 2017). L’Italia si trova talvolta perfino all’avanguardia nelle innovazioni legislative, come ad esempio con le recenti norme sulle microplastiche nei cosmetici e sui cotton fioc per prevenire il marine litter. Ma tutto ciò non basta ancora a mettere il nostro paese sulla rotta di uno sviluppo davvero sostenibile. Mentre davanti a noi abbiamo sfide che dovrebbero essere messe al centro dell’agenda politica, da quella che si apre in l’Europa con l’approvazione delle nuove direttive per l’economia circolare a quella, di portata globale, sui cambiamenti climatici, come confermato dagli ultimi dati dell’IPCC.

 

A saper cucire con l’ago e il filo di una buona politica questi temi, ne uscirebbe un’idea dell’Italia e del suo futuro convincente e più in sintonia con la sensibilità di una larga parte dei cittadini. Non è più tempo di generici impegni per l’ambiente, come ricorda nel suo editoriale Edo Ronchi, ma di politiche concrete ed efficaci per la transizione a una green economy, per affrontare la sfida climatica, per l’economia circolare, per le rinnovabili e l’efficienza energetica, per un’agricoltura sostenibile e di qualità, per città più green, per la sicurezza idrogeologica del territorio e la tutela del capitale naturale. La transizione ecologica ha bisogno di politiche pubbliche, a cominciare da politiche industriali e fiscali, capaci di orientare lo sviluppo nella direzione della sostenibilità. Per questo motivo è opportuno richiamare l’attenzione sulle proposte programmatiche del Consiglio nazionale della Green economy, che possono costituire un riferimento importante per il lavoro del Parlamento che verrà eletto il 4 marzo e del futuro governo.

Segnaliamo inoltre in questo numero, oltre alla 2° Conferenza sulla sharing mobility, l’avvio del Green city network promosso dalla Fondazione Sviluppo sostenibile con la Regione Emilia Romagna e la Regione Friuli Venezia Giulia, insieme ad una serie di buone pratiche dei soci della Fondazione (che compie i suoi primi dieci anni).

 

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