La decarbonizzazione in Italia è in ritardo, ma perdiamo tempo con il nucleare

di Edo Ronchi

Il processo di decarbonizzazione in Italia è in ritardo rispetto ai nuovi target europei. Le emissioni di gas serra dei grandi impianti, grandi emettitori, che fanno parte del sistema EU-ETS, sono regolate direttamente a livello europeo. I ritardi – per esempio  nella decarbonizzazione dell’energia elettrica – per i circa 1000 impianti regolati con questo sistema, generano  considerevoli aumenti dei  costi di produzione. Dal 2021 i prezzi dei diritti di emissione, infatti, sono fortemente cresciuti per la fissazione degli obiettivi climatici  più avanzati  da parte della Ue e per  la riduzione delle quote che sono allocate  gratuitamente.

I settori regolati dal sistema europeo “Effort Sharing Regulation” –  che emettono circa il 63% delle emissioni di gas serra e comprendono i trasporti, gli edifici, le imprese che non sono grandi emettitori, l’agricoltura e la gestione dei rifiuti – dovrebbero ridurre le loro emissioni  del 43,7% entro il 2030, rispetto a quelle del 2005. Le abbiamo ridotte, dal 2005 al 2022,  di circa il 17%. Con questa media, per  arrivare al target europeo ci servirebbero oltre 26 anni. Ne abbiamo, purtroppo, a disposizione solo 7. Dal 2015 al 2022 abbiamo ridotto le nostre emissioni nette di gas serra solo del 4% e, dal 2019 al 2022,  le abbiamo addirittura aumentate del 2%, recuperando rapidamente il forte calo provocato dalla pandemia nel 2020 .

La riduzione delle emissioni  nella prima parte del 2023 – per ragioni climatiche e di rallentamento dell’economia – non bastano  ad allinearci con l’accelerazione richiesta a livello europeo. La decarbonizzazione è trascurata dalle politiche pubbliche e non risulta fra le priorità  del governo. L’Italia è l’unico grande Paese europeo a non avere una legge per il clima. Nel 2021 in Italia l’energia rinnovabile – per calore, carburanti ed elettricità –  si è attestata intorno al 21% e  nel 2022  è diminuita. Dovrebbero  raddoppiare nei prossimi 7 anni per raggiungere il target del 40% del consumo al 2030. Le rinnovabili termiche in lieve calo rispetto al 2021; i biocarburanti nel 2022 sono in leggero aumento, anche se restano una quota bassa. Per il crollo dell’idroelettrico causato dalla siccità, nel 2022 le rinnovabili elettriche sono calate al 35% della produzione (il 42% nel 2021 e dovrebbero arrivare al target del 75-80% al 2030).

Nel 2022 sono stati installati 3 GW di nuovi impianti per rinnovabili elettriche: in aumento rispetto alla media bassa  degli ultimi anni, grazie al fotovoltaico (+2,4 GW) e all’eolico (+0,5 GW). Siamo ancora lontani dai  10/12 di GW annui di rinnovabili che servirebbero per mettersi al passo con i target europei. E siamo in ritardo rispetto agli altri Paesi: nel  2022, infatti, la Francia ha installato 5 GW, la Polonia 6 GW, la Spagna 9 GW e la Germania 11 GW di nuovi impianti fotovoltaici ed eolici.  Senza dimenticare i trasporti, settore cruciale e ostico per la decarbonizzazione in Italia, dove, nel 2022,  le emissioni di gas serra sono aumentate di circa il 5%, mentre imperversano le polemiche contro l’auto elettrica e poco si fa anche per promuovere la mobilità ciclopedonale, pubblica e condivisa.

L’Italia si trova al centro del bacino del Mediterraneo, un “hotspot del cambiamento climatico”: un’area dove l’aumento delle temperature avviene più velocemente rispetto alla media mondiale e gli effetti del riscaldamento globale si manifestano con maggiore intensità. L’Italia, molto esposta e  vulnerabile, dovrebbe essere in prima fila nell’affrontare la crisi climatica. Solo facendo la nostra parte possiamo contribuire a non peggiorare la crisi climatica e a spingere altri a impegnarsi di più. Il livello del rischio è cambiato e molto cresciuto. Occorre che le misure e le infrastrutture per l’adattamento al cambiamento climatico siano riprogrammate e riprogettate. Molte misure per la decarbonizzazione, dati gli alti costi delle energie fossili, del gas e dei derivati del petrolio, sono in grado di essere economicamente vantaggiose, di generare ritorni economici superiori ai costi. In Italia invece si torna a riproporre il nucleare, nonostante i disastri che ha provocato, i fallimenti economici e gli alti costi dell’elettricità che genera.

Nell’ultimo Rapporto dell’Agenzia Internazionale per l’Energia sono pubblicati i costi livellati nella Ue dell’energia generata da centrali nucleari, pari a 160 dollari al MWh, quella generata dal solare a 65 dollari al MWh e quella dall’eolico onshore, a 60 dollari al MWh. Con i nuovi reattori un po’ più piccoli cambierebbe tutto? L’abbiamo sentito ripetere ad ogni cambio di reattori a fissione. In Italia, dopo 13 anni dal decreto legislativo che lo ha deciso, non è stato localizzato un deposito per i rifiuti radioattivo. Quando sento parlare della costruzione in Italia di una decina di centrali nucleari ho l’impressione di discorsi astratti fatti da chi, invece di affrontare le scelte urgenti nel campo dell’energia da decarbonizzare che devono essere operative in pochi anni, perda tempo e sprechi soldi per sue nostalgie, comunque fuori tempo.


Articolo originale pubblicato su laRepubblica
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