La disposizione che esonera dall’’obbligo di bonifica il proprietario non responsabile dell’inquinamento non viola il diritto UE

di Stefano Leoni

Con la sentenza n. 140 del 4 marzo 2015, relativa alla causa C-534/13, la Corte di Giustizia dell’Unione europea (Terza Sezione) ha disposto che “La direttiva 2004/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale, deve essere interpretata nel senso che non osta a una normativa nazionale come quella di cui trattasi nel procedimento principale, la quale, nell’ipotesi in cui sia impossibile individuare il responsabile della contaminazione di un sito o ottenere da quest’ultimo le misure di riparazione,  non consente all’autorità competente di imporre l’esecuzione delle misure di prevenzione e di riparazione al proprietario di tale sito, non responsabile della contaminazione, il quale è tenuto soltanto al rimborso delle spese relative agli interventi effettuati dall’autorità competente nel limite del valore di mercato del sito, determinato dopo l’esecuzione di tali interventi.”

Il giudizio della Corte di Giustizia era stato richiesto dal Consiglio di Stato italiano, chiamato a decidere sulla legittimità o meno di un provvedimento del Ministero dell’ambiente che imponeva a tre società – che avevano acquistato dei terreni contaminati dal precedente proprietario (delle società del gruppo Montedison) – di realizzare una barriera idraulica come misura di messa in sicurezza d’emergenza.

Il Tar Toscana, in primo grado, aveva accolto l’istanza delle società ricorrenti annullando l’atto ministeriale, il Consiglio di Stato ha poi sollevato una questione di potenziale conflittualità tra diritto interno e comunitario, affermando che il secondo il principio “chi inquina, paga” avrebbe potuto consentire la disapplicazione della disposizione italiana (art. 253, 4°, del d. lgs n. 152/06), che vieta di imporre misure di bonifica o di messa in sicurezza al proprietario non responsabile.

La Corte europea ha sentenziato che, poiché il principio “chi inquina, paga” si rivolge all’azione dell’Unione europea, esso non può essere invocato dalle autorità competenti in materia ambientale per imporre misure di prevenzione e riparazione in assenza di un fondamento giuridico nazionale. Tuttavia, lo stesso può trovare applicazione nelle controversie di cui al procedimento principale nei limiti in cui esso è attuato dalla direttiva 2004/35, ossia quella sulla responsabilità ambientale.

Questa direttiva riconosce la responsabilità per il risanamento, quando:

– nel caso di responsabilità ambientale oggettivasia accertato dall’autorità competente un nesso causale tra l’azione di uno o più operatori individuabili, esercenti le attività di cui all’allegato III della direttiva, e il danno ambientale concreto e quantificabile;

– nel caso di responsabilità ambientale soggettiva sia accertato il comportamento doloso o colposo dell’operatore per attività professionali diverse da quelle di cui all’allegato III di detta direttiva

Tuttavia, la stessa esclude la responsabilità dell’operatore in grado di dimostrare che i danni in questione sono opera di un terzo e si sono verificati nonostante l’esistenza di idonee misure di sicurezza, o sono conseguenza di un ordine o di un’istruzione impartiti da un’autorità pubblica. Quindi, secondo la Corte europea, al di fuori di queste circostanze e sempre che l’evento dannoso sia avvenuto dopo il 30 aprile 2007, la disciplina del regime di responsabilità rientra nell’ambito dell’ordinamento giuridico nazionale.

Il legislatore italiano, avendo disposto la non responsabilità da inquinamento per il proprietario che non lo ha cagionato, non ha pertanto violato la disciplina comunitaria di settore.

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