Perché la crisi climatica è arrivata a questo livello di gravità?

di Edo Ronchi 

dal blog HuffingtonPost

La prolungata siccità e le alte temperature già nel mese di giugno, insieme alle immagini trasmesse dai nostri televisori del catastrofico incendio in Portogallo, sono evidenti manifestazioni della gravità raggiunta dalla crisi climatica, divenuta ormai oggetto di numerosi studi internazionali.

L’Accademia nazionale delle scienze americana ha pubblicato nel 2016 un vasto rapporto, curato da un gruppo di scienziati di varie parti del mondo (Attribution of extreme wheather events in the context of climate change), che lascia pochi dubbi sulla vastità ormai raggiunta dagli eventi atmosferici estremi connessi con la crisi climatica .

L’Istituto Germanwatch di Bonn ha elaborato e pubblicato nel 2016 un “Global climate risk index” che fornisce una mappa mondiale del livello di rischio di eventi atmosferici estremi connessi con il cambiamento climatico. L’Agenzia europea per l’ambiente ha pubblicato un Rapporto sugli impatti del cambiamento climatico nel 2016 (Climate change, impacts and vulnerability).

Concludo questo elenco significativo, ma largamente incompleto, con un’ultima citazione: il Rapporto sui rischi globali del World Economic Forum di quest’anno, che mette gli eventi atmosferici estremi connessi con il cambiamento climatico al primo posto (nei tre anni precedenti erano al secondo). La gravità raggiunta dalla crisi climatica è ormai evidente, ampiamente documentata e studiata.

La domanda che ci dovremmo porre è perché siamo arrivati a questo punto. Perché un mondo che dispone di conoscenze, tecnologie, capacità in quantità e qualità tanto elevate – come mai nella sua storia passata- non sia stato capace di prevenire una crisi climatica come quella prodotta oggi dall’aumento record di concentrazione di gas serra in atmosfera?

Come mai, pur avendo individuato la gravità del problema e avendo stipulato nella Conferenza delle Nazioni Unite nel 1992 un Accordo internazionale per il clima (la Convenzione Quadro sul Cambiamento Climatico) che aveva come obiettivo la stabilizzazione delle emissioni di gas serra, per poi arrivare a successivi accordi per la loro riduzione, 25 anni dopo siamo a questo punto?

Senza dimenticare il Protocollo di Kyoto, stipulato nel 1997, ma entrato in vigore solo nel 2005. Una riflessione su questi fallimenti serve per avere maggiore consapevolezza dei cambiamenti necessari per attuare efficacemente l’Accordo di Parigi per il clima.

L’attenzione dell’opinione pubblica, e dei mezzi di informazione che concorrono in modo decisivo alla sua formazione è stata episodica, carente del tutto inadeguata rispetto alla portata e gravità di questa crisi. La politica in generale, salvo poche eccezioni, per la gran parte di questi 25 anni ha trascurato le politiche e le misure per mitigare la crisi climatica, non ponendole quasi mai fra le priorità, essendo in genere occupata da questioni di breve termine, percepite sempre come più urgenti.

Il mondo delle imprese, anche qui con lodevoli eccezioni, ha per molto tempo visto le politiche e misure per mitigare la crisi climatica con fastidio: come portatrici di aumento dei costi e di perdita di competitività. Il carattere globale della crisi è stato spesso invocato come alibi per fare il minimo ritenendolo già troppo, in attesa di altri.

È vero che oggi la situazione sta cambiando, ma se questo cambiamento sarà troppo lento, si rischia di arrivare tardi, con una crisi climatica precipitata in dinamiche drammatiche. L’attenzione dell’opinione pubblica e dell’informazione devono essere costanti ed elevate; la politica deve includere – come ha ben detto Macron – la crisi climatica fra le effettive priorità; le imprese devono puntare sulla green economy per fare della sfida climatica un’occasione storica di innovazione e di nuovo sviluppo. Fare di più e meglio per il clima non può più essere una scelta subordinata, ma deve diventare una sfida.


Articolo originale pubblicato su Huffington Post Blog in data 23/06/2017

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